L’Istat premia la «Renzinomics» del 2016. Nelle previsioni sull’economia italiana rese note ieri fissa l’asticella del Pil all’1,1% in termini reali, in aumento rispetto al 2015 quando la crescita si fermò allo 0,8%, ma inferiore dello 0,1% rispetto alla previsione contenuta nel Documento di economia e finanza (Def) del governo.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica la politica dei bonus (Irpef, bebé ecc) e quella degli sgravi alle imprese che assumono rianimerà la spesa delle famiglie: +1,4%. L’aumento dell’occupazione pagata cara dal contribuente (+0,8% in termini di unità di lavoro) e la riduzione del tasso di disoccupazione (si fermerà all’11,3%) avrà un effetto sui consumi. Prevista inoltre una ripresa degli investimenti (+2,7%) e un miglioramento del credito. Nuvole nere, invece, sul commercio internazionale e sulla crescita minacciata dalle tensioni registrate nel primo trimestre sui mercati finanziari.

Le vendite oltre confine hanno infatti registrato un calo dell’1,5% rispetto a febbraio e dell’1,1% rispetto a un anno prima. Il «quantitative easing» della Bce di Draghi non ha portato all’auspicato aumento dell’inflazione. Ad aprile è andata sotto zero: -0,5%. L’Istat lancia il cuore oltre l’ostacolo e prevede un aumento verso la fine dell’anno, anche se ancora inferiore all’1%. Una simile previsione si basa sull’aumento dell’occupazione e dei salari, ma non sembra considerare gli effetti provocati dal calo degli sgravi contributivi alle imprese per il 2016 e gli anni successivi.

In attesa di un riscontro più puntuale, e non meramente previsionale, sullo stato di salute dell’economia italiana, il report dell’Istat è interessante per un’altra ragione. Descrive la stagnazione della produttività del lavoro. Ponendo pari a 100 il livello della produttività del lavoro nel 2007, l’Italia nel 2015 ha registrato un valore lievemente inferiore a tale soglia mentre per i principali paesi e per l’area euro, dopo la contrazione registrata nel 2009, si è tornati a una dinamica positiva.

La mancata crescita della produttività del lavoro è una delle caratteristiche strutturali della nostra economia e la caduta degli investimenti ha determinato un significativo peggioramento del contributo del capitale alla crescita. La contrazione degli investimenti italiani è stata marcatamente superiore a quella degli altri paesi. Tra il 2009 e il 2015, nell’area euro la quota degli investimenti totali rispetto al Pil è diminuita dello 1,3%, in Germania dello 0,8% mentre le quote dell’Italia e della Spagna si sono ridotte rispettivamente dello 3,5% e 3,9%. L’obiettivo della politica monetaria fortemente accomodante di Draghi è favorire il ritorno agli investimenti e a politiche fiscali favorevoli al capitale a livello nazionale ed europeo. La crescita del 2,7% degli investimenti sarà trainata dalla componente delle macchine e attrezzature e da una ripresa del ciclo delle costruzioni.

Sono ancora latitanti gli investimenti nei prodotti della proprietà intellettuale che comprendono la ricerca e lo sviluppo, settore tagliato selvaggiamente in Italia. Nel 2015 il livello dell’Italia risultava pari a 102, mentre per l’area euro il livello raggiunto era pari a circa 120.