Chiamiamola pure politica, però sarebbe più adeguato parlare di poker, con tutto quel che comporta in termini di rilanci e bluff. La partita ha per posta il futuro della legislatura, e basta chiacchierare con un qualsiasi parlamentare per capire al volo quanto dilagante e generalizzata sia la preoccupazione: il governo Renzi si basa sul patto del Nazareno, se salta quello tutti si ritroveranno a camminare sulla fune senza nessuna rete di salvataggio. Renzi aspetta la risposta di Berlusconi al suo aut aut tra domenica e lunedì, in tempo per incardinare martedì al Senato la legge elettorale, esattamente come la vuole lui. Dunque non sarà possibile riunire i gruppi parlamentari forzisti e la decisione spetterà solo al grande capo. Il quale però sa perfettamente come la pensano i suoi e sa anche, forse per la prima volta, di dover mettere in conto la possibilità di un vero ammutinamento.

Si svolgerà invece, salvo sorprese, il vertice di maggioranza reclamato dall’Ncd, e fissato per lunedì mattina, ma anche in quella sede la situazione potrebbe rivelarsi più tesa del previsto. Agli alfaniani il civettamento tra Pd e M5S non va giù: «Se la cosa si ripete la maggioranza non c’è più», minaccia Sacconi. Del resto gli stessi pentastellati, con Di Maio, hanno già ingranato la retromarcia: «Spero che il Pd prenda in considerazione la nostra proposta di legge elettorale, ma ci credo poco: siamo già stati ampiamente presi in giro». Capitolo chiuso. La minaccia di un accordo Pd-M5S è tramontata ieri.

Quello spauracchio Berlusconi non lo aveva mai preso sul serio. Per Renzi un accordo con Grillo vorrebbe dire farsi trascinare in un vortice devastante: basti pensare a cosa significherebbe dover contrattare con Beppe il ruggente il prossimo presidente della Repubblica. Quel bluff, il signore d’Arcore è dunque deciso ad andarlo a vedere, il che però non significa che abbia già deciso per l’affondamento del Nazareno. I suoi fedelissimi sono divisi. C’è chi come Verdini e come il capo dei senatori Romani gli consiglia di arrendersi e chiudere l’accordo alle condizioni di Renzi. E infatti è proprio Romani a lanciare l’unico segnale distensivo della giornata, con una dichiarazione che, date le circostanze, suona piuttosto surreale: «Il patto tiene, ma come tutti gli accordi ha bisogno di approfondimenti e assestamenti». C’è chi, come Toti, lo spinge invece a resistere costi quel che costi: «Se il Pd ha deciso di rompere gli accordi lo dica». Fuori dal cerchio magico i toni si fanno incandescenti. Alla Boschi, che aveva addossato alle «divisioni interne a Fi» la responsabilità della crisi, risponde durissima Mara Carfagna: «Assurdo aspettarsi che Fi si pieghi all’unilateralismo di Renzi».

In realtà un estremo tentativo di mediazione è in atto, affidato all’immancabile Verdini. Però si tratta di un compromesso per modo di dire, dal momento che Renzi , per ora,non è disposto a mollare su nulla. Sulle preferenze Berlusconi si è già rassegnato ad accettare che il 70 per cento dei deputati sia scelto dagli elettori e non dalle segreterie. Il premio alla lista continua a non convincerlo, ma potrebbe accettarlo ove fosse certo di avere tempo per rimontare lo svantaggio e garantirsi almeno il secondo posto. Quella certezza, però, Renzi non intende concedergliela. Chiede che venga eliminato l’emendamento Lauricella, quello che rende l’Italicum valido solo per la camera. Senza quella norma, varare la legge elettorale significherebbe mettere il premier in grado di scegliere le elezioni anticipate in qualsiasi momento. Come garanzia Berlusconi deve accontentarsi della parola del premier: proprio di quella che non si fida più. Nel pranzo di palazzo Chigi ha chiesto: «Ma se la legge ti serve per tenere a bada i tuoi dissidenti, perché la vuoi subito e non tra qualche mese?». Si è sentito rispondere in modo tanto evasivo da convincerlo che proprio le elezioni a breve, prima che i prevedibili insuccessi nella politica economica si traducano in drastico calo di popolarità, siano l’obiettivo del socio.

Con Berlusconi non si può mai dire, però che si rassegni alla resa incondizionata imposta dal leader Pd è poco probabile, tanto più che i renziani di stretta osservanza fanno il possibile per rendere l’eventuale cedimento il più vistoso e umiliante possibile. Da Giachetti alla Bonafè, ieri è stato un martellamento di ultimatum: «O così o andiamo avanti da soli». Forse la maggioranza è davvero in grado di varare da sola, sul filo dei voti, la legge elettorale, forse no.
In entrambi i casi, la fine del patto del Nazareno comporterebbe a breve anche la fine della legislatura e le elezioni anticipate. Con la nuova legge, se la maggioranza riuscirà a imporla da sola. Col Consultellum se il blitz risulterà impraticabile.