La prima notizia è che il confronto c’è stato, e pure se non sono mancate le punzecchiature reciproche alla fine è prevalsa la volontà di dialogare. La seconda notizia è che a sorpresa si è fatto vedere Matteo Renzi e il premier ha tenuto banco per più di un’ora anche se il capo della delegazione pentastellata, il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, ha saputo reagire insieme al deputato Danilo Toninelli, il «tecnico» del gruppo. La terza e ultima notizia è che per la prima volta non solo Pd e M5S sono riusciti parlare senza insultarsi, ma si sono concessi delle aperture reciproche. Il premier ha puntato i piedi sulla necessità di una legge elettorale capace di garantire governabilità «fin dal giorno dopo le elezioni», ma non ha chiuso la porta alla possibilità di inserire le preferenze, mentre da parte loro i grillini non hanno alzato barricate su doppio turno e premio di maggioranza. Tutto fila così liscio che alla fine entrambe le parti decidono di rivedersi nel giro di pochi giorni per verificare l’esistenza di punti di mediazione sui quali proseguire il confronto. Senza escludere che in futuro – ma per ora è solo un’ipotesi – Pd e M5S riescano a trovare un linguaggio comune anche sulle riforme istituzionali. Il premier lo chiede chiaramente alla delegazione pentastellata al punto da inserire la possibilità tra i cinque punti sui quali proseguire il confronto. «Beppe si è detto soddisfatto di come è andato l’incontro, come del resto lo siamo tutti noi», commenta Toninelli riportando la telefonata ricevuta da Grillo. E anche Di Maio non nasconde di essere contento per come si sono svolte le cose: «Il Democratellum è diventato un punto di partenza» della discussione, dice riferendosi – forse con eccessivo entusiasmo – alla proposta di legge elettorale del M5S.
Che differenza con i vecchi streaming del passato, fatti di insulti e totalmente inutili ai quali Grillo o chi per lui ci avevano abituati. Il nuovo corso del M5S, al debutto ieri nell’incontro con il governo, prevede attenzione e apertura verso un Pd legittimato dal voto delle europee. E dire che le previsioni della vigilia davano i grillini pronti a lasciare il tavolo nel giro di pochi minuti. Invece l’ultimatum «o noi o Berlusconi», che avrebbe fatto saltare tutto, non è stato pronunciato neanche una volta, anche se l’accordo del Nazareno ha fatto da convitato di pietra all’incontro. Come dimostrano le parole con cui Romani, capogruppo azzurro al Senato, si affretta ad assicurare l’impegno di Forza Italia a votare l’Italicum.
La delegazione grillina si presenta all’incontro puntualissima. Oltre a Di Maio e Toninelli ci sono capigruppo di Camera e Senato Brescia e Buccarella. Pochi minuti e anche al pattuglia democratica si fa vedere all’ingresso della commissione Esteri dove si tiene l’incontro in diretta streaming. Con Renzi ci sono il capogruppo alla Camera Roberto Speranza, Debora Serracchiani e Alessandra Moretti. Due uomini e due donne in nome della parità di genere, ma soprattutto una campionessa di preferenze come la Moretti a dimostrazione che il Pd non teme il confronto sul tema con il M5S. Manca, invece, Maria Elena Boschi e non si capisce se l’assenza è diplomatica (il ministro per le Riforme è stata tra i più intransigenti verso il M5S) oppure se è una conseguenza degli insulti sessisti apparsi contro di lei sulla pagina Facebook di Grillo.
Tocca a Toninelli aprire le danze, e il relatore della legge del M5S spiega i punti principali del Democratellum. «E’ un testo che abbiamo studiato bene», assicura il premier. Che apprezza e ringrazia per l’occasione di dialogo offerta dai grillini («noi ci crediamo davvero», dice), ma poi parte all’attacco del Democratellum. « Abbiamo fatto delle simulazioni – spiega – e non è in grado di garantire una maggioranza». La governabilità per Renzi è invece un punto irrinunciabile, così come il dichiarare fin da subito con chi si ha intenzione di allearsi. E qui partono le prime stoccate all’indirizzo dei grillini. «Chissà se gli elettori che vi hanno votato alle europee, lo avrebbe fatto lo stesso sapendo che vi sareste alleati con Farage». Anche la suddivisione dei collegi elettorali non va bene: «Il sistema del rapporto diretto tra il cittadino e il territorio lo fai riducendo i collegi – dice Renzi -. Nella vostra scheda ci sono ben 42 nomi, nella nostra soltanto sei». La replica grillina è affidata a Toninelli e Di Maio. Il primo ribatte alle obiezioni tecniche di Renzi. Il secondo, a proposito di alleanze, ha buon gioco nel ricordare l’esperienza del governo Prodi e citando Clemente Mastella: «Con gli accordi preelettorali – dice Di Maio a Renzi – si crea solo un’accozzaglia di partiti».
Schermaglie che però non tolgono nulla al confronto. Renzi apre alle preferenze, ma propone anche cinque punti su cui basare un incontro successivo, e che verranno pubblicati sul sito del Pd: governabilità, alleanze dichiarate prima del voto, riduzione dei collegi, giudizio della Consulta sulla legge elettorale e disponibilità a discutere insieme sulle riforme. «Ma oggi pomeriggio alle 18 scade il termine per presentare gli emendamenti sulla riforma del Senato (poi rinviato a questa mattina, ndr), se davvero siamo seri il governo lo sposti», replica Di Maio. «Ma voi gli emendamenti li avete presentati o no? E allora discutiamo i nostri e i vostri», ribatte Renzi. Un rifiuto che però non è una porta chiusa al M5S.