Editoriale

Renzi, un primo ministro «semper fidelis»

Renzi, un primo ministro «semper fidelis»

Afghanistan Dunque è finalmente chiaro che l’Italia renziana che orgogliosamente «non prenderà ordini da Bruxelles», li prende invece direttamente da Washington

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 18 ottobre 2015

«Avete sentito tutti che cosa ha detto il presidente Barack Obama. Stiamo valutando in queste ore se prolungare di un anno la nostra presenza in Afghanistan, come ci è stato chiesto dall’amministrazione americana».

Dunque è finalmente chiaro che l’Italia renziana che orgogliosamente «non prenderà ordini da Bruxelles», li prende invece direttamente da Washington. Peggio di Andreotti che almeno una politica estera autonoma sul Medio Oriente e perfino sull’Est l’aveva messa in campo; e peggio di Berlusconi che, nelle sue manie di grandezza, s’era addirittura inventato l’improbabile ingresso della Russia nella Nato, Matteo Renzi indefessamente prolunga la missione di guerra – quella che ufficialmente si chiama di «addestramento» – in terra afghana. Ancora non hanno smesso di fumare le rovine dell’ospedale di Kunduz, quello bombardato dai «nostri» cacciabombardieri alla ricerca del talebano, incuranti del massacro che ne sarebbe venuto – questi sono gli effetti collaterali «con tante scuse» – che la Casa bianca prolunga la guerra Usa perché «la missione è finita, ma non lasceremo il paese ai terroristi».

E l’Italia s’accoda, con lo staf Gentiloni-Pinotti – i due cavalieri dell’Apocalisse dei poveri – e la strizzatina d’occhio della Merkel e dll’Unione europea che non c’è.

Senza interrogarsi su come sia davvero finita la missione di guerra in Afghanistan. Perché, dopo 14 anni – più del Vietnam – d’intervento militare, dove le vittime civili dei rad Nato e Usa e dei «nostri» droni sono state superiori alle perdite delle milizie islamiste, i talebani sono all’offensiva, con le basi politiche e strategiche in Pakistan quasi intatte, e si affaccia anche la novità dell’Isis.

Mentre la società civile e politica che si è riorganizzata a Kabul corrisponde allo stesso potere precedente dei Signori della guerra. Un vero fallimento. Sarebbe necessario riflettere dunque, aprire nuove strade diplomatiche. O forse la continuazione della guerra occidentale serve proprio ad impedire che torni nell’area l’influenza iraniana e soprattutto russa.
Ma Matteo Renzi che vanta una inesistente politica estera – ribadiamo che l’accordo sul nucleare di Tehran non è merito di Mogherini -, si comporta come un marine: semper fidelis. Ha taciuto sul massacro di Kunduz; tace ora, schierato con l’occupante Israele, sul disastro della diplomazia occidentale sulla questione palestinese; ogni giorno esalta lo zero assoluto di un accordo in Libia sempre smentito, pronto però ad intervenire militarmente per risolvere una buona volta per tutte la questione del migranti in fuga da guerre e miseria dell’Africa, forte dell’annuncio di un accordo che non c’è tra le fazioni libiche in guerra fra loro dopo l’irresponsabile avventura militare della guerra contro Gheddafi che ha partorito lo jihadismo più agguerrito, dilagato poi in Siria e Iraq; un «accordo» che a poco a cuore l’unità libica ma che deve servire a creare, solo sulla carta, la «sicurezza» della Libia per impiantare un universo di campi di concentramento per i profughi, perché non vengano più qui a rovinarci le campagne elettorali.

Certo il marine Renzi, che solo a giugno ad Herat con tanto di giacchetta mimetica chiedeva ai soldati italiani di restare «un altro mese», si schiera con il democratico Obama.

Ma siete capaci di trovare qualche differenza tra guerre americane repubblicane e guerre americane democratiche? Una in realtà ce n’è: la seconda versione abbonda dell’aggettivo «umanitario». La verità è che resta il militarismo. E va messo in bilancio. Meglio allora tagliare la spesa sanitaria, i contratti e il welfare per spendere, contro la pace ma «con innovazione», in fabbriche d’armi, F35 e basi militari. Semper fidelis.

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