Chi ci ha parlato riferisce che non ha alcuna intenzione di ritirare le dimissioni da segretario del Pd. Non serve, per ora. A Matteo Renzi basterà un’ospitata in tv alla vigilia della riunione di direzione (il 3 maggio), che deve decidere se sedersi o no al tavolo di trattativa con M5S, per riprendere il timone della barca Pd, finita fra in acque molto pericolose. Lo farà domani, ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa (Raiuno), per la prima volta in tv dopo la batosta elettorale del 4 marzo e le dimissioni. Parlerà del tema del giorno, il fantomatico governo Pd-5stelle, del quale in realtà pensa che «sarebbe una gigantesca presa in giro degli elettori». E forse otterrà anche un utile effetto collaterale, come spiega con malizia Carlo Freccero: «Va da Fazio perché domenica sera il risultato del Pd in Friuli Venezia Giulia sarà disastroso, così con la sua presenza coprirà quel disastro. È una tecnica tipica, copre e rilancia».

L’ex premier non «chiuderà» alla trattativa, che pure si sarebbe volentieri evitato; ma nemmeno «aprirà» a un accordo con Di Maio, che vede come il fumo negli occhi. Piuttosto indicherà una rotta che da una parte eviti al Pd di restare con il cerino della rottura in mano. E dall’altra eviti la tragica conta fra i «trattativisti» capeggiati dal reggente Martina e gli «arroccati» guidati dal presidente Orfini.

Che avrebbe visto i primi soccombere ai numeri. Ma anche il partito spaccarsi per la prima volta sul serio, dopo le vicende che portarono alla scissione di D’Alema e Bersani. Renzi troverà una strada per salvare l’unità del partito, messa a rischio a suo parere dall’eccesso di «aperture» di Martina, frutto delle pressioni provenienti dal Colle. Renzi, ieri a Roma, lo ha spiegato ai suoi. Su Democratica, organo online del Nazareno, Mario Lavia descrive il lavorìo dei «pontieri» per una soluzione «più soft»: non una mozione che spacca, ma un testo che vede il Pd disponibile «a discutere con tutti ma ponendo l’asticella molto in alto con una serie di paletti politici e programmatici comprensibili al paese. È un’ipotesi coerente con l’impostazione di Martina». In serata la posizione viene esposta da Ettore Rosato a Cartabianca (Raitre): «Ci sono due precondizioni» per il confronto con i 5 Stelle , «la prima è che considerino chiuso il dialogo con la Lega e la seconda è che considerino la stagione delle riforme del Pd un elemento positivo per il paese. Se ciò non fosse per noi non sarebbe possibile fare un governo con chi vuole smontare le cose fatte dal centrosinistra». Considerato che i 5 stelle considerano irrinunciabile cancellare il «jobs act» e la «buona scuola», non potranno che alzarsi dal tavolo.

In direzione dunque non ci sarà nessuna conta. Anche se ieri il «fronte del no» ha continuato a cannoneggiare il reggente. «Per me Salvini e Di Maio sono la stessa cosa, opposti della sinistra», ha spiegato Orfini su La7, «e non credo che spetti al Pd oggi fare una proposta per il governo. Credo che ci spetti lealtà e onestà nei confronti di chi ci ha votato».

Intanto Renzi, invocato da molti (dei suoi) torna protagonista del Pd. Mantenendo la finzione del «senatore semplice». «Renzi è in campo, perché non si può abdicare dall’essere un leader», dice Ettore Rosato. «Ma non credo, anzi non è nei suoi programmi tornare segretario». Tradotto: se volesse, sarebbe un attimo.

Ma quella della segreteria del Pd è un’altra partita. Una partita a cui non è destinato il reggente Martina. Che se mercoledì si adeguerà al «Lodo Renzi» avrà perso la sua battaglia, senza neanche l’onore di una sconfitta dopo una battaglia. Se ne parlerà quando la maggioranza renziana avrà finalmente trovato un segretario da lanciare al prossimo congresso. Intanto l’assemblea nazionale che doveva decidere resta rinvia a a data da destinarsi.

Probabilmente si terrà una volta finito lo «stallo» delle consultazioni. Ma finito come? I renziani sono certi che un governo ci sarà e sarà gialloverde: il governo del presidente «non avrebbe i numeri», spiega Rosato, «e poi escluderei che noi facciamo un governo del centrodestra. Lasciamo lavorare il presidente Mattarella, poi forse la prossima settimana ci sveglieremo magicamente con un governo Di Maio-Salvini». È la speranza del Pd renziano. In caso contrario i dem saranno chiamati dal Colle a un governo «di responsabilità». E stavolta sarebbe molto più difficile dire no.