Farà parte del governo anche la Lega di Salvini, l’uomo del Papeete e dei «pieni poteri»? A Matteo Renzi non importa più. Come non gli importa del Mes, del reddito di cittadinanza, del ponte sullo stretto e di tutti gli altri temi che per settimane ha scagliato contro la maggioranza di cui faceva parte. Fino all’imbarazzante tarantella del tavolo sul programma allestito da Roberto Fico, dove a ogni istante da Iv usciva un pretesto in più per affossare Giuseppe Conte.

Ieri, accompagnato da Maria Elena Boschi e Teresa Bellanova (silenti), il rottamatore è stato consultato da Mario Draghi, e all’uscita si è rivolto ai cronisti: «Se ciascuno di voi riflette sul fatto che i 209 miliardi saranno spesi da Draghi si sente meglio pensando al proprio futuro». Per essere ancora più chiaro ha abbassato la mascherina per mostrare il sorriso di chi ha fatto il colpaccio. «Solo per farvi capire come sto…».

E i contenuti? «Gli manderemo del materiale, le nostre battaglie storiche su vaccini, investimenti e scuola sono sul suo tavolo». «Lo sosterremo indipendentemente dal governo che vorrà fare». Come Totò: a prescindere. «Siamo a sua disposizione, e auspichiamo che tutti i partiti facciano lo stesso. Chi pone veti dice no all’appello del presidente Mattarella». E i veti dell’altro ieri su Bonafede, Azzolina, Arcuri? Puff, spariti. «Io sono rilassato, ci vediamo nel 2023», scherza con i cronisti. «Draghi è una polizza assicurativa per i nostri figli, nessuno può negarlo. Chi meglio di lui può gestire il Recovery?».

Di colpo la politica scompare nel discorso dell’ex premier. La presenza dei sovranisti nella eventuale maggioranza? «Non mi permetto di giudicare il comportamento degli altri partiti, ognuno risponde alla sua coscienza e al Paese». Dopo aver aperto la crisi in piena pandemia, e dopo aver palesemente sabotato l’esplorazione di Fico voluta dal Capo dello Stato, si permette di «ringraziare chi ha avuto la forza di opporsi alla narrazione a senso unico che vedeva in Italia Viva la pericolosa responsabile dell’apertura della crisi».

E di lanciare, dopo aver tenuto un paese in ostaggio per settimane, addirittura un «messaggio per le giovani generazioni che si affacciano alla politica: “Non seguite i sondaggi, abbiate il coraggio di combattere per le vostre idee”».

Zingaretti, consultato nel pomeriggio, ricorda invece perchè si è arrivati al super tecnico: dopo «una crisi improvvisa e ingiustificata» che ha buttato il paese «nell’incertezza». Da questa premessa deriva «la piena disponibilità del Pd a concorrere al successo» di Draghi. Il leader Pd cita Ciampi («L’Italia ce la farà») con la speranza che il nuovo governo somigli a quello del 1993 e non a quello di Monti.

Ed elenca i temi chiave: fisco progressivo (e non flat tax) , ancoraggio all’Europa, no all’austerità. Fa di tutto per far capire che con la Lega dentro non si andrebbe lontano, cosa che poco prima la delegazione di Leu aveva detto in modo più esplicito direttamente a Draghi: «Senza un minimo di omogeneità programmatica qualsiasi governo rischia di avere vita breve», ha detto Federico Fornaro.

E Loredana de Petris, con la solita franchezza: «C’è una incompatibilità con forze come la Lega, solo con una base forte formata da Pd, M5S e Leu il governo può avere il respiro per arrivare a fine legislatura». «Con tutti dentro si dura poco, con una scelta della maggioranza più netta si può arrivare al 2023», ha detto De Petris al nuovo premier: «Sta a lei scegliere». (l’ex presidente Bce ha preso nota senza commentare).

Zingaretti è stato più soft: nessun veto su altri partiti. «L’Italia è stata protagonista della costruzione della nuova Europa, evitando il danno intollerabile e irreparabile che il nazionalismo avrebbe arrecato», ha ricordato. «Invieremo le nostre proposte per un programma di governo forte, di lunga durata», ha aggiunto, a sottolineare la convergenza di vedute con la sinistra di Leu.

L’obiettivo del Nazareno quindi è «aiutare Draghi a costruire un maggioranza stabile, compatta e credibile». «Non siamo nelle condizioni di porre veti su nessuno, non è un governo politico», confessa Delrio. Semmai si tratta di una preghiera. Con una consolazione: «Draghi è la migliore garanzia di europeismo».