Il Bomba ne fa un’altra delle sue? «Sarebbe profondamente negativo se il governo intervenisse d’autoritá per scrivere le nuove regole della contrattazione», fa subito sapere Cesare Damiano, dopo aver letto su un quotidiano che l’esecutivo di Matteo Renzi vuole lanciare il salario minimo. Cancellando il contratto nazionale.

Così facendo Renzi dà una mano all’amico e sodale Giorgio Squinzi, che era da tempo impantanato sulla riforma del modello contrattuale. Una riforma sulla quale Cgil, Cisl e Uil sono sempre stati pronti a discutere con Confindustria. Ma solo a patto che, nel mentre, fossero rinnovati i contratti di alcune categorie industriali. Contratti importanti, come quelli del comparto agroalimentare e chimico-energetico, per i quali i sindacati confederali hanno presentato piattaforme unitarie, in settori dove gli indicatori economici segnano bello stabile. E dove le stesse controparti datoriali – Federchimica e, più tiepidamente, Federalimentare – erano pronte alla trattativa. Così come lo sarebbero stati alcuni settori di Federmeccanica sulle proposte della Fiom, nel rinnovo di un contratto che vede al tempo stesso già sul tavolo la piattaforma Fim-Uilm.

Per bloccare le spinte centrifughe interne a Confindustria, a Squinzi non resta che ricorrere all’aiuto dell’amico Matteo. Così, aver convocato ieri pomeriggio in Assolombarda i presidenti delle associazioni di categoria, Squinzi ha dettato la linea: «Ci siamo resi conto dell’impossibilità di portare avanti qualunque trattativa con il sindacato – ha detto al termine della riunione il presidente di Confindustria – non abbiamo margini di manovra per poter proseguire il colloquio sui contratti nel modo tradizionale. Per noi è un capitolo chiuso».

A seguire, sornione, Squinzi ha aggiunto: «In qualche modo il governo potrebbe anche entrare, ma ci auguriamo che non combinino danni». E ai colleghi «trattativisti»: «Ogni trattativa ha una sua autonomia, non chiediamo nessuna moratoria». Ma è (era, ndr) già pronto «un decalogo che faremo avere alle associazioni interessate, di cose che si possono fare e non si possono fare in eventuali trattative che ritengano di portare avanti». Gran finale mediatico pro salario minimo: «Un paese con la disoccupazione giovanile al 43%, se non interviene su questo punto non ha futuro».

La prima reazione confederale è della Uil: «Il presidente di Confindustria non la racconta giusta – osserva Carmelo Barbagallo – avevamo concordato che i tavoli di categoria per il rinnovo dei contratti e quello interconfederale per la riforma del modello contrattuale avrebbero dovuto procedere contemporaneamente e autonomamente: se n’è dimenticato? E cosa hanno fatto in Confindustria da febbraio, quando abbiamo presentato la nostra proposta di riforma, fino a luglio? Ora si sono svegliati, e fanno da sponda a un possibile intervento del governo».

Se le regole della contrattazione dovessero diventare appannaggio del governo, sarebbe una prima assoluta nella storia del paese. Perfino la Cisl, con Anna Maria Furlan, avverte che la riforma del modello contrattuale deve essere lasciata alle organizzazioni delle imprese e dei lavoratori. «Piuttosto il governo ripristini la detassazione del salario di produttività».

Dal Pd non è solo Damiano a intervenire: «Sono basito per la disinvoltura con cui il presidente di Confindustria liquida la partita dei contratti in scadenza – osserva Francesco Boccia – e in generale dei meccanismi che regolano le più elementari relazioni sindacali». Non è sorpreso invece Nicola Fratoianni: «Non avevamo dubbi che l’obiettivo del governo sia quello di superare i contratti collettivi, come già si è potuto intravedere dal jobs act – tira le somme il numero uno di Sel – così come non avevamo dubbi su quale sia il riferimento sociale e politico del governo: Confindustria. Hanno utilizzato le ricette di Confindustria per il jobs act, poi per la buona scuola e lo Sblocca Italia, e continuano a farlo. Non è un caso se oltre 200 imprenditori ad agosto comprarono una pagina del Corriere per spiegare che sostenevano Renzi».