Un po’ per rinfocolare l’attenzione intorno al suo intervento al Senato, un po’ perché sia chiaro quel che potrebbe sfuggire, Iv fa circolare un messaggio preciso prima che il suo leader prenda la parola in aula: «Offrirà a Conte un’ultima opportunità». Parole da preannuncio di crisi. Renzi infatti spara a zero, esagera nei toni, parla di «un Paese agli arresti domiciliari», fa del premier una specie di nuovo Salvini, «non abbiamo negato a lui pieni poteri per darli a un altro». Ma, al momento del vero ultimatum, sfuma. Conte è a un bivio: se sceglierà «il populismo» e guarderà ai sondaggi più che alla politica Iv è pronta a scaricarlo.

IL BELLO È CHE CONTE, nella sua informativa, aveva rivendicato tutto l’operato del suo governo proprio bersagliando il «populismo» e la ricerca del consenso a scapito delle scelte adeguate. Con tanto di citazione dotta: «Si deve distinguere la doxa dall’epistème», l’opinione dalla scienza. Il premier non arretra di un millimetro, almeno fino a che si tratta di rispondere alle critiche: «Il governo non ha mai improvvisato in solitaria. Riaprire tutto per il consenso sarebbe semplice ma porterebbe a un innalzamento incontrollato dei contagi. In scienza e coscienza ritengo di aver tutelato interessi primari».

Nel merito Conte è molto più flessibile. Sa che in parlamento, pur con sfumature molto diverse, c’è una ampia maggioranza che reclama aperture diversificate nelle regioni a seconda della gravità del contagio. Ha in mente le immagini dell’occupazione un po’ grottesca dell’aula da parte dei leghisti e della più accorta manifestazione di FdI, che si è smarcata clamorosamente dalla sgangherata iniziativa di Salvini. Non gli sfugge l’irritazione del Pd, ormai apertamente insofferente per le decisioni assunte via dpcm consultando soprattutto i tecnici e imbufalito per la diffusione di quel quadro catastrofico, 150mila ricoverati in terapia intensiva entro l’8 giugno, che era in realtà il peggiore di 92 scenari e considerato dagli stessi epidemiologi solo «un caso di scuola». Soprattutto si rende conto del livello raggiunto dallo scontro tra governo e regioni dopo la ribellione della presidente della Calabria Santelli, che ha deciso di riaprire subito bar e ristoranti all’aperto e di chiudere in confini.

Dunque Conte media. Elenca i punti critici sui quali il governo si impegna a cercare soluzioni. Promette di passare alla diversificazione regionale il 18 maggio, sulla base di un protocollo del ministero della Salute. Nessun varco per le regioni ribelli guidate dal centrodestra. Le loro sono scelte illegittime. Per il resto la disponibilità a rivedere la tabella di marcia squadernata, con risultati disastrosi, domenica scorsa c’è tutta.

LA GIOSTRA degli interventi conferma. Tutti chiedono, pur se con accenti sideralmente distanti, la diversificazione. Tutti accennano all’obbligo di chiudere la fase uno anche in politica, abbandonando i dpcm e tornando alla «centralità del parlamento». Il fastidio anche del Pd è palese ma gli estremi per un colpo di mano che rovesci il governo non ci sono, soprattutto perché non ci sono alternative possibili e Mattarella non è uomo da muoversi alla cieca, secondo la logica cara a Renzi del gioco d’azzardo. È per questo che Renzi stempera, annacqua l’ultimatum, lo riduce a un’operazione di logoramento in attesa che arrivi l’occasione giusta.

SE QUELL’OCCASIONE si presenterà o meno dipende da fattori ben più concreti dell’assurdo balletto scatenato intorno alle uscite di casa due settimane prima o dopo. In parte dalla capacità di far fronte alle difficoltà dei minori e della scuola, sulle quali non a caso ieri il premier si è soffermato a lungo. Ma soprattutto dalla capacità di raddrizzare interventi di sostegno all’economia che sin qui, con le casse integrazione straordinarie che arrivano col contagocce e con i prestiti alle aziende che le banche concedono con la nonchalance dell’avaro di Molière, rappresentano il vero buco nero. E naturalmente dai rapporti con l’Ue, tavolo che si chiarirà, in parte, solo nella prima decina di maggio.

Il rischio per Conte è lì. La sua resta una maggioranza fragilissima: ieri lo scostamento di bilancio non sarebbe passato al Senato senza il soccorso delle opposizioni. Di fronte a una crisi sociale e finanziaria ingovernabile non avrebbe neppure una probabilità su mille.