Non ha preso molto sul serio le preghiere, le richieste, le minacce che sono arrivate dalla tre giorni della minoranza di rito bersaniano che si è svolta lo scorso week end a Perugia; e precisamente a San Martino in Campo, luogo scelto non a caso per sottolineare la nostalgia prodiana dei convenuti. Matteo Renzi francamente se ne infischia, nell’ancora contestatissima doppia veste di segretario Pd e presidente del consiglio. Anzi, nella sua enews ieri li prende tutti in giro: «Davanti» a problemi come i migranti e l’Europa «il dibattito interno di tutti i partiti (talvolta purtroppo anche del Pd) sembra surreale». Quanto alla minoranza, «ai miei compagni di partito che pongono grandi problemi sulla visione strategica della sinistra, in Italia e nel mondo, do appuntamento per lunedì prossimo in direzione e soprattutto al congresso del 2017».
In direzione, notoriamente, le discussioni hanno l’inesorabile esito di una maggioranza schiacciante a suo favore. Quanto al congresso si vedrà. Dal Nazareno viene escluso l’anticipo delle assise del Pd. Ma non è detto che la convocazione non arrivi qualche mese prima della scadenza da statuto, ovvero fine 2017. Per tutto il 2016 comunque il congresso è tecnicamente irrealizzabile: a giugno ci sono le amministrative, dopo la pausa estiva – verosimilmente nel tardo autunno – verrà convocato il referendum costituzionale. Comunque vada, sarebbe impossibile celebrare anche il congresso del Pd, che prevede un meccanismo che dura mesi, fra voto dei circoli e primarie per il segretario (e candidato premier).

Renzi cerca di proteggere le primarie, contestate da molte parti dopo i casi di Napoli (presunti brogli, ma i due ricorsi dello sconfitto Bassolino sono stati respinti) e Roma (in un primo momento l’affluenza ai gazebo è stata ’aggiustata’ attraverso il doping alle schede bianche, poi la cifra è stata riportata a cifre più verosimili). «Le primarie sono uno strumento serio per favorire la partecipazione e aprire la classe dirigente dei partiti al rapporto con i cittadini», scrive, «certo qualche volta si registrano casi antipatici», «ricordo che quando ho perso le primarie del 2012 molti dei miei amici volevano fare ricorso perché in intere regioni c’era la poco simpatica abitudine di bruciare schede e verbali senza la possibilità di ricontare. Allora presi il microfono e dissi la verità: che avevo perso. Punto. Può accadere di perdere. E solo chi sa perdere potrà imparare a vincere».

Renzi non rinuncia a fare il gradasso con la minoranza Pd. Ma non è detto che le sue diplomazie invece non offrano qualche ’aggiustatina’ alle leggi di prossimo varo anche nella direzione chiesta dal cahier de doleance messo insieme dalla kermesse perugina. In particolare su due temi: la legge sulle banche di credito popolare e la legge elettorale del nuovo Senato. Sulla prima Bersani ha detto che così com’è non l’avrebbe votata («Anche se metti dieci fiducie non te la voto», letterale). Ma i capigruppo Zanda e Ettore Rosato hanno ’aperto’ a possibilità di modifiche.

Più delicata la vicenda della legge elettorale per il nuovo senato. Lo scorso ottobre era stata oggetto dell’ultima mediazione fra maggioranza renziana e senatori Pd dissenzienti sulla riforma costituzionale. Alla fine Gotor e compagni avevano detto sì, accettando un compromesso sui senatori eletti «in conformità» alle indicazioni degli elettori. Ma il meccanismo è complicato e in realtà la legge elettorale regionale è di competenza di ciascuna singola Regione. A gennaio la minoranza Pd ha presentato un testo che «restituisce lo scettro della scelta ai cittadini». Da allora chiede che venga approvato prima del referendum di ottobre: in caso contrario ipotizza di votare no al referendum. Eventualità a cui però non credono in molti. In ogni caso nei prossimi giorni il testo potrebbe essere incardinato a Palazzo Madama in commissione Affari costituzionali. Come gesto di buona volontà. Di qui all’approvazione però ce ne corre.