Un fiume di sei miliardi di euro che si riverserà sulla città ormai conosciuta in tutto il mondo come Mafia Capitale. A due settimane dall’inchiesta e dagli arresti che hanno sconvolto Roma e l’intero paese il presidente del Consiglio annuncia la candidatura ai Giochi Olimpici del 2024. E non è difficile immaginarsi i maneggioni, i palazzinari, tutto il malaffare politico sfregarsi le mani dall’appetito fra bandi, appalti e gare da oliare ed aggiudicarsi.

Dove non riuscì Veltroni con la candidatura per il 2016, dove non riuscì Berlusconi con quella per il 2020, oggi ci prova Renzi. Ma le condizioni sono esattamente le stesse. La crisi e la penuria di risorse pubbliche – ragione addotta da Mario Monti per negare la firma per la candidatura del 2020, quando tutto il carrozzone era già partito – sono tutte intatte. I conti del Comune sono da default, le priorità sarebbebo ben altre – le periferie, ad esempio. Senza dimenticare che nel bilancio del Comune compaiono ancora i costi per l’esproprio delle aree utilizzate per i Giochi di Roma 1960.

La tesi alquanto bislacca che il premier e il Coni cercano di accreditare è esattamente contraria. Per riuscire a risollevare l’immagine sdrucita della città eterna, offuscata dagli scandali, serve una grande impresa. «Il governo è pronto a fare la propria parte: sono convinto che ce la faremo», ha annunciato Renzi davanti ai campioni dello sport riuniti nel salone d’onore del Coni per la cerimonia dei “Collari d’oro”.

Sotto i dipinti che magnificano le imprese del duce, il premier ha cercato di mettere subito le mani avanti sulla questione costi e appalti, spiegando che «non pensiamo che possa essere un progetto campato in aria, fatto di grandi infrastrutture, di grandi sogni, ma un progetto fatto di grandi persone», «saremo all’avanguardia dal punto di vista del controllo della spesa».

Poi è stato il padrone di casa Giovanni Malagò, presidente del Coni, a promettere che per il progetto «ci deve essere il Cantone di turno a supervisionare, servirà una trasparenza religiosa». È Malagò stesso a definire «realistica» la stima di sei miliardi di fondi necessari, «a cui parteciperanno anche aziende private che mi hanno fatto capire che sono disposte a investire».

Di certo buona parte degli arrestati e degli indagati dell’inchiesta mafia capitale erano presenti il 5 marzo 2010 all’Auditorium della Musica di Roma. Quel giorno l’allora sindaco Gianni Alemanno presentò il progetto per le Olimpiadi del 2020. Una grande kermesse sulla quale però aleggiava già un altro scandalo. Quello dell’inchiesta sui Grandi appalti di cui buona parte riguardavano un altro evento sportivo finito male: i Mondiali di nuoto di Roma, concluso con un buco da 8 milioni e gran parte delle piscine sequestrate o chiuse.

Indovinate chi era il presidente del comitato organizzatore di quell’evento? Giovanni Malagò. Che fu indagato e poi assolto per le autorizzazioni e i lavori al suo Circolo Aurelia, crocevia dei contatti fra i vari Anemone, Balducci, Bertolaso e della cosiddetta cricca. Dall’assoluzione Malagò è partito per la scalata al Coni. E ora, sfruttando l’ambizione smisurata di Renzi, vuole arrivare dove nessuno è riuscito: riportare le Olimpiadi a Roma.

Un miraggio che diventa almeno più probabile grazie al fatto che le Olimpiadi del 2020 non sono andate ad una città europea – come voleva la regola dell’alternanza – ma a Tokyo. Il Comitato olimpico internazionale – il Cio – sta poi cercando di ridurre le spese delle città ospitanti. In quest’ottica si spiega l’allargamento a città limitrofe di gare e competizioni – fino però solo ai quarti di finale – che ha permesso a Renzi di annunciare come nel progetto rientreranno anche «Firenze, Napoli e la Sardegna».

Il villaggio olimpico è sempre stata la spesa più grande. Per il 2020 Alemanno e i suoi avevano pensato alla Collina Fleming e Tor di Quinto (nord della città). L’area è a rischio esondazioni, ma il Comune aveva già tentato di costruirci un “nuovo” Foro Italico per il tennis. Questa volta si spera che la soluzione sia più azzeccata.

Il monumento allo spreco del gigantismo sportivo veltroniano è la vela di Calatrava. A Tor Vergata il suo scheletro vuoto si impone sul paesaggio circostante. La città dello Sport doveva contenere oltre alle piscine per i mondiali di nuoto, un Palasport multifunzionale da 15 mila posti e campi di atletica. Il progetto iniziale aveva un costo di 136 milioni, poi arrivati a 256, infine a quota 700, con i lavori, diretti da il consorzio Vianini del gruppo Caltagirone, fermi ormai da anni per mancanza di fondi. Ora Malagò vorrebbe completarla: «La copriremo di plexiglass invece che di vetro risparmiando 30 milioni». Ma senza il via libera della – fu – archistar spagnola, non si potrà fare.

Intanto però è già partita la corsa alla poltrona. Si sperava che quella di presidente del comitato promotore la potesse occupare lo stesso Giovanni Malagò, risparmiando un lauto stipendio e le spese di rappresentanza. Niente affatto. In pole position c’è invece Luca Cordero di Montezemolo, fresco di nomina a presidente di Alitalia. Per il 2020 fu calcolato un costo di 42 milioni, vedremo quanto sarà questa volta. La decisione sulla candidatura sarà presa dal Cio nel settembre 2017. A meno di ripensamenti alla Monti, fino a quel giorno per il comitato ci sarà da lavorare. E spendere.

Tutto il mondo politico si dice entusiasta dell’annuncio. Anche il sindaco Ignazio Marino che appena insediato – il 3 dicembre 2013 – si definiva «piuttosto tiepido sulle Olimpiadi 2024». Pochissime le voci contrarie. Nel Pd solo Civati. La Lega invece è spaccata: per Salvini le «Olimpiadi sono una follia», ma Maroni punta ad ospitare qualche evento e parla di «Olimpiadi italiane, non di Roma». Contrari il M5s – che parla di «cinque cerchi, cinque manette» – e la sinistra.