Sulla strada del precipizio elettorale in cui si è lanciato Matteo Renzi si è materializzata la proposta del ministro Dario Franceschini. L’ex giovanotto ex democristiano che tre anni fa con la stessa prontezza di riflessi ha spostato i suoi voti in parlamento da Letta a Renzi, ieri ha formulato il suo ’lodo’ a mezzo Corriere della Sera: «A mio avviso il premio di maggioranza andrebbe assegnato alla coalizione, alla Camera e al Senato», «L’accordo in Parlamento deve essere il più largo possibile e deve contemplare la collaborazione delle forze di opposizione». L’idea di coalizione che ha Franceschini è quella dei «sistemici contro gli antisistema», come ha spiegato altre volte. E anche ieri: «Nel campo riformista c’è un’area di centro che ha collaborato con i governi di Letta e Renzi, e ora collabora con quello di Gentiloni: sarebbe strano se dopo cinque anni ci candidassimo su fronti contrapposti». Parla dell’Ncd di Alfano, che infatti non tarda a dichiararsi favorevole. Dall’altra parte pensa al ’campo progressista’ di Giuliano Pisapia. Insomma, più che una coalizione, quella che da sempre il ministro ha in testa è una sorta di larga coalizione già apparecchiata prima del voto.

Lo segue il ministro Andrea Orlando, che nel Pd è l’altro capofila degli scettici del voto anticipato: va bene il voto subito, dice da Torino, «ma questo non ci può esimere da una ricerca seria di una legge elettorale che eviti di consegnare agli italiani un parlamento che non produce un governo». E per allontanare da sé il sospetto di essere un frenatore aggiunge che «si può lavorare sin da ora» senza aspettare le motivazioni della Consulta sull’Italicum».

Dalla minoranza arriva il segnale positivo del bersanianissimo senatore Miguel Gotor, che però non nasconde la contrarietà al voto a giugno: «Primi segnali di buonsenso e di ravvedimento», dice, «La discussione nel Pd non può che partire dall’interesse del Paese e da quanto è possibile fare nei prossimi mesi per rendere produttiva l’azione di governo».
Renzi non sarebbe così contrario alla trasformazione del premio alla lista in premio di coalizione. Ma non si fida. Ai suoi racconta che «è cominciata una fase politica diversa», lascia credere di essersi «caminettizzato», di essere rassegnato a non decidere più tutto da solo. Ma a una condizione chiara: che si voti l’11 giugno. Lo spiega un democratico di rango: «Sul merito non c’è indisponibilità. Ma l’accordo deve comprendere i tempi».

Lo scambio è coalizioni contro voto subito dunque. Forza Italia si mostra disponibile a accettare «il male minore». Ma per iniziare a discuterne «bisogna aspettare le motivazioni della Consulta», avverte il deputato Francesco Paolo Sisto. Per il Pd l’apertura forzista è indispensabile per consentire alla nuova legge di essere approvata. Perché i 5 stelle sono contrari alle coalizioni (ieri lo hanno ribadito) e al Pd non restano che i voti azzurri, palesi o segreti si vedrà, per mantenere i capilista bloccati, ovvero l’arma che ha Renzi per selezionare il gruppo parlamentare.
Ma per Renzi si tratta dell’ultima mano di poker per tentare il voto a giugno. Concedendo alla minoranza Pd anche le primarie il 25 marzo, per batterla e insieme evitare la scissione: «Però chi perde il giorno dopo rispetti chi ha vinto, altrimenti è l’anarchia». Anche per gli avversari di Renzi è l’ultima chance per rallentare la discussione sulla legge elettorale e riuscire a scavallare l’estate. Da lì in avanti per Renzi restare in sella sarebbe tutta salita.

Per questo chi ha scommesso tutto su Renzi non vuole sentire parlare di coalizioni. È il presidente Matteo Orfini a caricarsi l’ormai impopolare ruolo di capofila della resistenza della vocazione maggioritaria, fino all’altro ieri pilastro della strategia renziana. «Andando da soli al voto si può sfidare il paese e cercare di ottenere il consenso e arrivare al premio stabilito al 40 per cento. Lavoriamo per questo, senza accrocchi che saltano il giorno dopo in parlamento», dice nel corso di un dibattito con l’avvocata Anna Falcone, stella nascente dell’ex fronte del No ora tentato dalla politica. Su twitter Orfini è più esplicito: «Chi rimpiange l’Ulivo dovrebbe ricordare che a far fallire quei governi furono le coalizioni. E che per superarle abbiamo fatto il Pd». Archiviata l’idea di «sapere chi ha vinto la sera del voto» Orfini scopre però il gioco della minoranza che si schiera con Franceschini avendo in mente tutt’altro tipo di alleanze: «Pisapia starebbe in coalizione con Alfano? E Alfano con Pisapia?». Un’accozzaglia, per usare un termine renziano, che in effetti nulla a che vedere con le ambizioni di ’nuovo centrosinistra’ di D’Alema e Bersani. E degli altri a sinistra, da Pisapia all’area del dissenso post vendoliano.