Alla fine di una lunga giornata al Quirinale, l’ex maggioranza giallorossa non è esplosa. Davanti al Capo dello Stato, tenuto a debita distanza per prevenzione Covid dai numerosi interlocutori che sono saliti al Colle, nessuno dei partiti ha posto veti. Al netto delle cortine fumogene e dello spumeggiante e risentito discorso di Renzi, lui non ha posto veti su Conte, e gli (ex?) alleati non ne hanno posti su di lui. Neppure Leu, che in mattinata con Loredana De Petris aveva detto che «il nostro giudizio sull’affidabilità di Renzi resta molto critico». Poi in serata precisa che non è un veto.

E non ne ha posti neppure il rottamatore, che all’uscita ha tenuto un comizio di mezzora, con il solito repertorio sul «futuro dei nostri figli» e sulla rinuncia di Teresa Bellanova «alla poltrona».

IL CAPO DI IV HA CHIESTO a Conte di venire a Canossa, a Pd e M5S di dire «se noi siamo parte della maggioranza, dopo 15 giorni di fango e insulti». «La caccia ai parlamentari non ha prodotto risultati», gongola Renzi, «attendiamo di capire se ci vogliono in maggioranza, se sì devono discutere delle nostre idee, non proporre baratti». Quanto a Conte, il concetto è che il reincarico se lo deve ancora sudare, e dai toni che usa Renzi la telefonata con l’avvocato di ieri pomeriggio (rivelata in diretta) non è andata benissimo.

Ma c’è stata, e questo è un segno che la trattativa si riapre. «Con lui nessun problema personale. Prima si sceglie dove andare, poi con quale mezzo, poi con quali persone si va e infine chi guida la macchina», dice il capo di Iv, «non siamo ancora al momento di scegliere chi guida, al momento la maggioranza non va allargata, semplicemente non c’è». Renzi si toglier molti sassolini, «sembrava dovesse esserci un esodo biblico tra i nostri senatori, e invece non c’è stato», poi però non pone ultimatum neppure sui temi, neppure sul Mes. «Noi abbiamo posto tanti temi, a novembre, per iscritto, non diciamo prendere o lasciare, discutiamo nel merito».

MA È QUANDO DICE «come nel Monopoli siamo tornati a novembre, al vicolo corto», si capisce che il Conte ter non è uscito dai radar. Che l’idea di seppellire l’avvocato con un «governo istituzionale» (a cui pure Renzi si dice pronto se non ci saranno le condizioni per un «governo politico») è stata messa in congelatore almeno per qualche giorno. Poi, certo, se Conte avrà l’incarico, o un pre-incarico, la trattativa con Iv sarà tutta in salita, con più di una mina sui ministri che Renzi punta a far saltare, a partire dal guardasigilli Alfonso Bonafede. Ma intanto uno spiraglio si è riaperto.

Quando Zingaretti si affaccia nel salone delle feste con la delegazione Pd, attorno alle 19, il volto tirato e la fuga dalle domande dei cronisti fanno pensare al contrario, ad una caduta definitiva dell’avvocato del popolo. Ma non è (ancora) così.

IL LEADER PD RIBADISCE il sostegno del partito a «un incarico al presidente Conte, che si è confermato, anche nel voto di fiducia alle camere, un punto di sintesi ed equilibrio avanzato». Per «un nuovo governo con un’ampia e solida base parlamentare, nel solco della tradizione europeista». Zingaretti cita le emergenze da affrontare, a partire dalla pandemia, le riforme istituzionali e della giustizia e una «nuova legge elettorale su base proporzionale». «Compiti chiari e possibili», sottolinea, da realizzare «chiamando a raccolta le energie disponibili del Parlamento».

«L’obiettivo è «aiutare l’Italia ad uscire a testa alta da questo momento buio che noi non abbiamo di certo voluto».

UN PD «RESPONSABILE», dunque, preoccupatissimo che la crisi deragli verso un governo istituzionale o di larghe intese. Resta una fortissima diffidenza verso Renzi. Spiega Andrea Orlando: «Per riprendere Renzi in maggioranza bisogna capire se lui pone un veto su Conte o no. Ma se con Iv i numeri della maggioranza restano risicati, si continuerà a ballare e per questo vogliamo un allargamento della maggioranza». Altrimenti «ci sono più scenari e si rischia di rotolare ad elezioni», ribadisce Orlando. Quanto alla cronologia, prima i contenuti e poi i nomi, il vicesegretario dem ricorda a «Matteo» che «nella nostra Costituzione vengono prima i nomi, perché il presidente Mattarella deve dare un incarico a qualcuno per poter verificare una maggioranza». Orlando aggiunge: «Aver mantenuto una ambiguità su Conte ha garantito a Renzi l’unità di Italia Viva». Tradotto: se dovesse davvero rompere qualche senatore se ne andrà.

IERI ESORDIO AL QUIRINALE per il nuovissimo gruppo di senatori «Europeisti-Maie-Centro democratico». L’argentino Ricardo Merlo spiega che «non vogliamo sostituire nessuno» e che Conte è «l’unica soluzione per continuare con la legislatura». Concetto ribadito da Bruno Tabacci, che si presenta come componente del Misto della Camera dopo aver raccolto ben 15 deputati. Merlo aggiunge: «Non pensiamo a una campagna per allargare il nostro gruppo». Oggi tocca al M5S, incontro decisivo per capire se la vecchia maggioranza può davvero tornare insieme dopo giorni di fiele.