Avessero parlato davvero della «situazione in Libia, in Ucraina e del panorama economico europeo», si tratterebbe comunque di un incontro di svolta: Renzi e Prodi si erano fin qui evitati, e quando l’uno parlava dell’altro faceva sempre in modo di non risultare simpatico. Ora il ghiaccio tra i due è sciolto. Ma è difficile credere alla «velina» di palazzo Chigi, Prodi è un candidato naturale per il Quirinale e l’argomento non può essere stato ignorato. E neanche esorcizzato con la nota promessa del premier di voler favorire la nomina di Prodi alla guida della Nazioni unite, tanto vaga e lontana da valere assai poco.

Più facile che l’incontro a palazzo Chigi, avvenuto per iniziativa del capo del governo, segni la volontà di Renzi di affrontare in prima persona il caso Prodi – «dare le carte» nel suo frasario – perché ha già in testa un piano B per il Quirinale, o perché al contrario non ha in testa nessuno piano e vuole tenersi aperte più strade. Anche la strada che sembra impossibile, perché smentirebbe in un colpo solo tutte le scelte di nove mesi di governo: mandare il professore sul Colle. Il fatto che da ieri quella strada sembri un po’ meno impossibile vale da subito come minaccia a Berlusconi. È la risposta all’intempestivo ex Cavaliere, che in piena assemblea Pd, domenica, se n’era uscito con l’annuncio che il patto del Nazareno prevede anche la scelta del successore di Napolitano. «Dipende», è la risposta di Renzi. Che sa che il suo governo nelle aule parlamentari si regge sulla non opposizione dei forzisti fedeli al vecchio capo e che la sua unica possibilità di portare effettivamente in porto la riforma costituzionale passa per il patto con Berlusconi. Ma sa anche che Forza Italia è sempre meno controllabile da Arcore e che un’altra legge elettorale è possibile. È il Mattarellum, sia pure presentato come innocente clausola di garanzia – ma chi può credere che fatta la fatica di approvare una legge elettorale funzionante il premier resista alla tentazione di metterla all’opera? «Il Mattarellum è un’opzione in campo», dice la ministra Boschi. Ed è per questo che in prima commissione al senato oggi il Pd si opporrà all’ordine del giorno Calderoli che, per quello che vale un ordine del giorno, chiede al governo di puntare come clausola di garanzia sul cosiddetto «Consultellum».

Ma la discussione sulla legge elettorale deve affrontare anche un altro ostacolo, vista l’intenzione del governo di chiudere l’esame della commissione in tempo per «incardinare» il provvedimento in aula nel mese di dicembre. Tocca però trovare una seduta utile dell’aula e non ce ne sono tante prima della pausa natalizia, con la legge di stabilità da approvare (il tradizionale concerto è stato spostato a domenica). Ecco perché in prima commissione con tutti gli emendamenti ancora da votare – la Lega ne ha depositati a pacchi – si fa strada una soluzione azzardata: mandare la legge in aula senza che il lavoro referente della commissione sia stato concluso, e dunque senza relatore. Sarebbe un colpo di mano inedito, non fosse stato già messo a segno dal patto del Nazareno in una convulsa seduta notturna al tempo della prima lettura della stessa legge, alla camera.

Dopo l’incontro di palazzo Chigi tra Renzi e Prodi, le reazioni dell’alleato Alfano e dei berlusconiani (alleati anche loro), tutte allarmate, fanno intendere che gli avversari del professore hanno registrato il pericolo. Le reazioni di soddisfazione della minoranza Pd segnalano l’opposto e un’altra dichiarazione della ministra Boschi rende esplicita la volontà di Renzi di tenere Prodi in ballo: «Non è giusto tirare per la giacchetta Prodi visto come è stato trattato. Capisco la sua diffidenza, ma quella figuraccia non la ripeteremo». Il professore è l’opposto del candidato ideale per Renzi, ha spalle larghe ed è un in grado di fare ombra al premier. A meno che quell’ombra sia considerata ormai inevitabile, annuncio di un’altra ombra assai più inquietante in arrivo dall’Europa: la troika.