Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura, proconsole Ncd in Sicilia, uomo di fiducia di Angelino Alfano, dovrebbe essere già fuori dal governo, dopo essere stato indagato dalla procura di Catania, insieme ad altre 5 persone tra cui Luca Odevaine, per turbativa d’asta nel quadro di un’inchiesta che da Mafia Capitale direttamente discende. Ma non è affatto detto che si dimetta. In un primo momento Renzi sembrava deciso a spingerlo garbatamente verso la porta, usando la proverbiale moral suasion e dandogli 48 ore per farsi persuadere.

Ma ieri sera, il vento era del tutto cambiato. Dalla cerchia renziana arrivavano solo pronunciamenti «garantisti»: in fondo è solo un avviso di garanzia. Cosa abbia spinto Renzi a modificare la sua linea spostandosi sulla difesa a oltranza è difficile dirlo. Di certo nel pomeriggio Alfano aveva parlato a lungo col sottosegretario e ne aveva poi preso le difese a spada tratta. Per ora l’interessato se la cava con le barzellette: «La mia trasparenza e autorevolezza morale non è intaccata». Se Castiglione, Alfano e Renzi non cambieranno idea, lo scontro sarà durissimo. Perché Sel e M5S sono decisi a portare fino in fondo la richiesta di dimissioni. Ma soprattutto perché Castiglione è indifendibile.

Il «trasprentissimo e autorevolissimo» è l’uomo chiave nella storiaccia del Cara di Mineo, il più grande d’Europa nonché la porzione più succulenta della ricca torta immigrazione, con la quale pasteggiavano un po’ tutti, ma nessuno quanto i bravi ragazzi di Comunione e Liberazione. L’uomo di fiducia di don Angelino era il presidente del consorzio Calatino Terra d’Accoglienza (posto poi lasciato al sindaco di Mineo Anna Aloisi, a sua volta Ncd filiera Alfano-Castiglione). Il consorzio gestiva le aste per la distribuzione degli appalti per il centro d’accoglienza. Secondo la procura di Catania si prodigava per affidarle a chi di dovere, vuoi «turbando la gara», vuoi «prolungando reiteratamente l’affidamento», vuoi emettendo bandi fatti a misura di cooperative amiche. Quest’ultimo caso, l’anno scorso, in occasione del rinnovo dell’appalto, era stato tanto clamoroso che Cantone, presidente dell’Anticorruzione, lo aveva segnalato per tempo ad Alfano. Il ministro quel giorno era distratto.

Il coinvolgimento di Castiglione non è un fulmine a ciel sereno. Le intercettazioni di Luca Odevaine non lasciano spazio a dubbi né margini al sottosegretario: «Mi ha portato a pranzo. C’era una sedia vuota. Arrivai a capire che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara». Un servizietto, peraltro, che Odevaine, come si evince da altra intercettazione, non intendeva offrire gratuitamente, avendo già fatto notare che non ci sarebbe stato male «uno stipendiuccio» anche per lui. Stipendiuccio fino a un certo punto: 10mila poi raddoppiati.

Sempre Odevaine, che tra tutti gli intercettati è il più loquace, spiega anche nel dettaglio che i cattolici in questione non sarebbero a suo parere mossi solo dalla sete dell’oro ma anche da più ambiziosi progetti politici. Tipo dar vita all’Ncd, perché «Castiglione si è avvicinato molto a Cl insieme ad Alfano. Cl di fatto sostiene tutta questa roba di Alfano. Sono tra i principali finanziatori. Castiglione è il loro principale referente in Sicilia». Magari sono tutte fantasie di Luchino. Magari, invece, è una attagliata spiegazione della sordità mostrata da don Angelino di fronte all’allarme di Cantone. Di certo qualcosa Alfano dovrà spiegare. M5S e Sel lo vogliono in parlamento. Dovrà almeno riferire, e dovrà farlo su tutta l’immonda vicenda della speculazione sui centri d’accoglienza.
Se l’indagine su Castiglione non sorprende, altrettanto può dirsi sulla nuova indagine di cui è oggetto Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto di Zingaretti, poi dimessosi. Ieri il suo nome campeggiava tra quelli dei 21 indagati la cui esistenza era già nota da giovedì senza tuttavia che ne fossero trapelati i nomi. Che Venafro sia tornato al centro della scena, sulla base di intercettazioni che erano già in possesso della procura al momento della prima tranche dell’inchiesta, significa probabilmente che gli inquirenti pensano che possa dire molto e si adoperano a modo loro per invogliarlo a colloquiare.

Il terzo indagato eccellente, tra i 21 in questione, è Marco Visconti, per un paio d’anni assessore all’Ambiente nella giunta Alemanno. Secondo la procura di Roma, per foraggiare la mucca prima di mungerla come da sua stessa colorita immagine, Salvatore Buzzi gli avrebbe erogato un paio di centinaia di migliaia di euro. Cifretta che peraltro non doveva servire solo ad allietargli le serate, ma anche a finanziare il nascente partito suo e soprattutto di Alemanno, Fratelli d’Italia: tanto che la procura gli contesta anche la violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti.

Non è un particolare, né per i fratellini italiani né per gli amici di Alfano e Lupi della Cascina. Dal punto di vista dei nudi fatti, ha ragione il prefetto di Roma Gabrielli che definisce la seconda tranche dell’inchiesta «un aftershock dopo il terremoto di novembre». La sostanza in effetti non cambia. I nomi sono sempre gli stessi. Dovrebbe in compenso cambiare, a guardare le cose con qualche onestà, l’interpretazione della miasmatica faccenda. Non è mafia o corruzione nera, come troppo spesso e troppo superficialmente detto e scritto. E’ a tutti gli effetti un malaffare a tre colori: rosso, bianco e nero, compartecipato in quote eque da Pd, ex An e aree cattoliche. Non è neppure solo un intreccio tra malavita e singoli, sia pur numerosi, politicanti corrotti. La malavita c’è: Carminati non passava per caso. La corruzione dei singoli pure, e sin troppo trasparente. Ma figura in bella vista anche un terzo e per tutti i partiti assai più sgradevole elemento: l’antico e probabilmente mai davvero seppellito finanziamento illecito dei partiti. Metti insieme i tre elementi e ottieni non un clamoroso scandalo locale ma un sistema politico nazionale.