Che sia un problema di microchip «le nuove tessere che lo incorporano sono arrivate in ritardo» o di micro attese «è un anno senza congresso né primarie», nessuno tra i renziani nei posti guida del Pd nega le difficoltà nel tesseramento. Anche se tutti, dal vice segretario Guerini in giù, confidano in una ripresa di fine anno. Ma nel frattempo rivendicano il cambiamento di pelle del partito, così come fa direttamente Matteo Renzi da un palco di Ferrara: «A chi dice mamma mia, con questa segreteria abbiamo perso iscritti… vorrei semplicemente far notare che il Pd ha preso il 40,8%; 16 punti in più delle ultime elezioni». Contano i voti, allora, non le tessere. E Pier Luigi Bersani fa partire il suo attacco proprio da questo punto, potendo irrobustirlo con le cifre, provvisorie ma clamorose, pubblicate ieri da Repubblica: «Meno di 100mila iscritti in tutta Italia, cinque volte in meno che nel 2013».

Dice Bersani: «Lo statuto dice che il Pd è un partito “di iscritti e di elettori”. Ovviamente se diventasse solo un partito di elettori diventerebbe un’altra cosa, uno spazio politico e non un soggetto politico». Aggiunge Stefano Fassina: «Oltre a organizzare la Leopolda per i suoi fedelissimi, Renzi dovrebbe preoccuparsi di organizzare un’assemblea nazionale dei coordinatori dei circoli del Pd». E conclude il bersaniano D’Attorre: «Il partito necessita di una revisione molto seria, da mesi chiediamo un’assemblea per rilanciare la struttura», assemblea che peraltro Renzi da mesi ha annunciato di voler concedere.

Alle critiche, che qualche ultras renziano subito bolla come «le pulci che la ditta che ha fallito vuole fare alla ditta che vince», replica Guerini parlando di «numeri campati in aria» e spiegando che «ci impegneremo con determinazione per raggiungere l’obiettivo». L’obiettivo però è fissato a «300mila tessere», cioè appena sopra la metà dello scorso anno. Livello che sarebbe fisiologico, «in linea con gli anni non congressuali», assicura il vice segretario del Pd, che poi aggiunge: siamo partiti tardi perché prima c’erano «la campagna elettorale per le europee, i sindaci e le regioni al voto». Una giustificazione che nel ragionamento di Guerini non elude il punto della «trasformazione» del Pd. Spiega infatti il capo dell’organizzazione: «Il vero tema del nostro confronto non dovrebbe riguardare il numero degli iscritti, bensì l’apertura di questi iscritti agli elettori delle primarie». Ed è una rivendicazione del cambio di paradigma, già certificato dalle primarie aperte a tutti gli elettori e i simpatizzanti, nel dicembre scorso, che affidarono a Renzi una vittoria schiacciante e una monarchia assoluta sul partito, quando i congressi di circolo lo avevano visto vincitore con un margine di appena otto punti su Gianni Cuperlo.

Il quale Cuperlo, ieri, commentando il dato provvisorio sulle iscrizioni, aggiunge un altro elemento di analisi delle difficoltà del partito democratico: «Abbiamo abolito una forma di finanziamento pubblico che di sicuro andava corretta e migliorata, ma senza un finanziamento pubblico trasparente il rischio è di tornare a un accesso patrimoniale alle cariche elettive. E non bastano le cene con gli imprenditori a risolvere il problema». È questo il sistema proposto da Renzi a tutti i parlamentari per raccogliere un milione di euro: ognuno trovi cinque imprenditori disponibili a pagare mille euro per avere lui, il presidente del Consiglio, ospite a cena.