Senza staccarsi troppo dall’iPhone, seduto alla sinistra di Bruno Vespa e al centro di una coreografia di copertine del di lui libro, Matteo Renzi partecipa al rito sopravvissuto al passaggio delle repubbliche e iniziato prima della diffusione di internet. Rimosso – ma con l’onore di un ultimo giro – Berlusconi, questo natale è il neo segretario del Pd il più atteso al bacio della pantofola del cardinale dell’informazione politica in tv. Angelino Alfano si conferma debole comprimario, per quanto più affine nell’universo che fu democristiano all’immarcescibile autore. Che è immarcescibile proprio in virtù della rapidità di spostamento tattico e così regala a Renzi tutti gli assist migliori. Alfano scolora vieppiù e il sindaco di Firenze si vede costretto a offrire a Vespa la tessera del Pd. Prima o poi potrebbe tornare utile persino quella. Alfano ha un unico momento tonico, quando capisce che si sta parlando di parità uomo donna e si ricorda di avere una carta da giocare. «Ieri ho firmato le nuove nomine dei prefetti, e per la prima volta sono più donne che uomini», interrompe tutto d’un fiato. Poi si rassetta in un sorriso inutile, Renzi sta già spiegando che i prefetti andrebbero aboliti.

Niente da fare, non c’è clima da sacrestia o volemose bene che tenga, a Renzi interessa solo graffiare il più possibile il quadretto dove lo si coglie alleato al governo con Alfano. Il segretario del Pd ci si è trovato dentro a forza e adesso si sta scavando la via di fuga, avendola facilmente individuata nella legge elettorale. Da fare «subito», entro febbraio in prima lettura alla camera e un mese dopo anche al senato. Così che poi nulla ostacolerebbe le elezioni anticipate a maggio, se non la inverosimile promessa che «se fa le cose il governo può andare avanti fino al 2018». Piccolo particolare: saranno i parlamentari di Renzi a decidere se il governo «le cose» potrà farle. Come le riforme costituzionali, che già Renzi raccomanda di rimandare a dopo la legge elettorale. Nel pomeriggio gli alfaniani hanno sostenuto l’esatto contrario in commissione alla camera, dove però il Pd ha votato con le opposizioni per passare presto all’aula, guarda caso sarà a febbraio. Alfano per non litigare deve recuperare formule democristiane: «Ci intenderemo, non è naturale né logico che il segretario del Pd metta in difficoltà il governo guidato da un esponente autorevole e non anziano del suo stesso partito». L’ex delfino nuota contro corrente cercando di non perdere contatto, ma ancora non ha trovato un artificio retorico migliore del «sindaco d’Italia» per provare la sua voglia di maggioritario, cioè tra le tante l’unica formula che richiede un’impossibile riforma costituzionale.

La riforma che invece Renzi vorrebbe fare è la trasformazione del senato in organo di secondo livello, composto cioè dai sindaci e dai presidenti di regione. Senatori non eletti dovrebbero comunque partecipare al processo di formazione delle leggi, tra cui le leggi costituzionali: è la prima volta che il neo segretario lo propone ed è una proposta assai discutibile. Ma fatta davanti ad Alfano serve solo per mettere l’«alleato» in difficoltà. Il ministro arretra alla maniera dei politici – «ne discuteremo» – il sindaco bombarda la ritirata: «Io sono pronto adesso, ho dietro di me gli elettori delle primarie, tu hai solo Quagliariello».

La chiave per capire Renzi è proprio in una frase detta a proposito del mandato delle primarie: «Io fondamentalmente devo cambiare la tempistica». Quanto potrà reggere, allora, il blocco di governo? Il sindaco comincia attaccando il mattone più debole, e chez Vespa chiarisce a tutti la modalità del rapporto che avrà con il capo del Nuovo centro destra: ostile. Del resto non ha fatto niente per evitare che si sapesse in giro che lo chiama Al-Fini, nel senso del decaduto Gianfranco. «Avete qui due leader di partito che vogliono entrambi sinceramente cambiare la legge elettorale», prova in tutti i modi a farsi complice Alfano. «Lo scopriremo solo vivendo», lo ferma subito Renzi. «Bisogna smontare la legge Fornero», dice il ministro. «Lo dici a me? Sei tu che l’hai votata», la replica. «Cancelliamo subito il finanziamento pubblico ai partiti», tenta ancora Alfano. Renzi non concede nulla: «Fino a ieri stavi con uno che ti pagava a piè di lista le spese del partito». Disperato, Angelino si rifugia in un elogio della famiglia «naturale con un uomo e una donna che tendono a procreare», sempre buono per un applauso quando si ha davanti il pubblico di Vespa. Al che Renzi monta una faccia scura: «Mi indigno davanti a chi chiama un applauso sulla famiglia e poi non fa niente per sostenerla in concreto… Non ce l’ho con te, Angelino».