«Non ho vendette da consumare né rivincite. Però se ci sono stati errori, che si faccia tesoro dell’accaduto», per tutto il giorno, prima ospite di Circo Massimo, poi dal solito treno, Renzi oscilla tra la parte di chi non infierisce e quella meno generosa di chi presenta il conto. Perché una cosa vuole che sia chiara: le colpe dei collassi bancari sono tutte e solo della mancata vigilanza e il Pd, che «non ha fatto pasticci», ne esce «a testa alta». Tanto che in molti «dovrebbero chiedere scusa», anche se, sia chiaro, in lui quel che è successo nella commissione d’inchiesta non provoca «nessuna euforia».

Renzi si rende conto di non poter chiedere la testa di Visco, appena confermato per sei anni alla guida di Bankitalia su spinta congiunta di due poteri di enorme peso come il Colle e la Bce. Sa di non dover nemmeno dare l’impressione di mirare alla testa del governatore. Non significa però che intenda graziarlo: l’obiettivo è azzopparlo una volta per tutte e costringere il Quirinale a quella proposta di mediazione che era stata avanzata prima della mozione di sfiducia del Pd: il tacito impegno di rimuovere il governatore ben prima della scadenza del mandato. In un paio d’anni.

Poi naturalmente ci sono le esigenze elettorali e su quel piano scrollarsi di dosso l’immagine di colluso con le banche, in odore di conflitto di interessi e di nepotismo, è questione di vita o di morte. Dunque, nonostante i toni moderati, Renzi ci tiene a rimarcare la situazione col pennarello rosso: «Ci sono responsabilità di mancato dialogo tra Consob e Bankitalia e incongruità da parte di Bankitalia. La realtà è agli atti. La commissione si assuma la responsabilità di mettere nero su bianco le cose che non hanno funzionato». Cioè di vergare una sentenza di condanna ai danni dei due istituti di vigilanza. Quanto al caso Boschi: «Il luogo in cui può avere giustizia sono le querele». Sempre che la sottosegretaria, oltre ad annunciarle, dette querele le sporga davvero.

Sul piano della sostanza l’esultanza del segretario è giustificata fino a un certo punto. Il pm di Arezzo Rossi non ha fatto altro che ripetere quel che aveva già detto in altre occasioni. Ad amplificare il messaggio già noto è solo la sede nella quale viene pronunciato. Inoltre se la giustificazione di Bankitalia sulla decisione di chiedere il commissariamento di Banca Etruria è claudicante, è anche vero che i vertici di Etruria non escono affatto bene dalla vicenda. Bankitalia ha giustificato il commissariamento non con la mancata fusione della banca aretina con la Popolare di Vicenza, cosa che non rientrerebbe peraltro nei poteri della banca centrale anche senza contare il particolare per cui la Popolare era stata giudicata a forte rischio proprio da Bankitalia, ma con il non aver convocato l’assemblea degli azionisti per decidere sulla fusione. Spiegazione a dir poco bizantina e formalista. Ma sul fronte opposto è anche vero e accertato dalla procura di Arezzo che i vertici di Etruria nascosero a palazzo Koch la reale gravità della situazione, anche se la medesima procura li ha poi assolti da ogni addebito per «assenza di dolo». Erano distratti.

Sul piano mediatico le cose stanno diversamente. Anche grazie ai continui inciampi di Bankitalia e Consob la mission di Renzi, quella di inchiodare gli istituti di vigilanza, sta riuscendo perfettamente, mentre quella degli avversari dell’ex premier, mettere il suo governo sotto accusa, non decolla. Il blog di Grillo reagisce attaccando a testa bassa: «L’esultanza di Renzi è surreale. I risparmiatori truffati non sono interessati ai giochini di potere del Pd». Messaggi simili, anche se modulati su decibel di aggressività diversi, arrivano da Lega, Si, Mdp, Fi. Per nessuna di queste forze attaccare Renzi significa difendere Bankitalia. Franco Monaco, prodiano storico, nonostante la tessera Pd invece lo fa a viso aperto bersagliando «la scomposta aggressione della pattuglia di urlatori» dem. A controbilanciare il pm di Arezzo arriva poi quello di Chieti. Assicura in commissione che lì invece i controlli sono stati «pressanti». La partita, insomma, è aperta. Di qui a Natale la commissione sarà un campo di battaglia.