«Il centrosinistra? Neanche dipinto. Perdere tempo  in questa inutile discussione ci ha fatto solo del male».  Al Nazareno, il quartier generale del Pd,  l’analisi della batosta riporta indietro la linea del segretario alla vocazione maggioritaria. Anzi di più: identitaria. Nelle prime ore dopo il voto Renzi ondeggia, passa da un post notturno che minimizza la martellata («non è andata un granché») a un retweet con una «torta» di Youtrend in cui si riepiloga il risultato generale delle amministrative: 67 comuni al centrosinistra, 59 al centrodestra. Ma si tratta di quelli superiori a 15mila abitanti. Il risultato dei capoluoghi è inequivocabile: 4 al centrosinistra e 15 al centrodestra.

Nella giornata di ieri Renzi cerca di chiarirsi le idee in colloqui privati. L’analisi della sconfitta non è il suo genere – eppure ormai dovrebbe avere dimestichezza – la direzione sarà riunita  solo il 10 luglio. Ma la nuova linea isolazionista sarà formulata già venerdì e sabato a Milano, alla riunione dei circoli, in contemporanea all’assemblea di piazza della nuova Ditta Pisapia&Bersani.

I colonnelli ne anticipano la sostanza: «Serve il modello Pisapia sennò si perde, dicono. Peccato che la sconfitta peggiore l’abbiamo subìta a Genova», scrive Matteo Orfini su facebook. È la risposta a Andrea Orlando, che già da domenica notte chiede un tavolo di tutto centrosinistra pure consapevole che «non basterà rimettere insieme i cocci». Il Guardasigilli lo ripeterà  stasera alla riunione della  sua corrente, nella cui locandina significativamente è stata disegnata una piantina di ulivo in vaso. L’ordine di scuderia del Nazareno invece è tutto il contrario:  battere sul caso Genova, la sconfitta che fa la differenza. Lì, spiega anche il renzianissimo Marcucci, «ha perso un modello di alleanza largo, stile Pisapia».

In realtà le cose non stanno precisamente così. Il candidato Gianni Crivello, al cui soccorso era arrivato in città anche Romano Prodi (Renzi era stato invitato a tenersi alla larga) era espressione di un’alleanza stretta  (Pd più Mdp più civici) e non ha fatto accordi con la sinistra-sinistra. Che al ballottaggio ha dato indicazione di votarlo in un generoso gesto di responsabilità (il candidato sconfitto Putti, ex M5s, invece non lo ha fatto) dopo una campagna elettorale reciprocamente assai poco cordiale.

Per sostenere che il centrosinistra è perdente al Nazareno si minimizza persino la smagliante vittoria di Padova, frutto di un percorso serio e di un dialogo vero con la sinistra cittadina e civica: «Lì in realtà ha perso la Lega», viene spiegato. Analisi aperta e chiusa nel giro di due tweet di Renzi, dunque. Il gruppo dirigente segue: «Dobbiamo ripartire dal Pd, basta con i tatticismi, parliamo dei problemi degli italiani, dei  temi che interessano i cittadini: economia, lavoro e sviluppo», dice il responsabile enti locali  Ricci.

Solo il ministro Martina azzarda la necessità di un ripensamento di «alcune scelte fatte» ma, si affretta ad aggiungere, «dovremo ragionare tutti insieme, perché ad esempio a Genova e Sesto San Giovanni erano in campo coalizioni di centrosinistra anche larghe, ma non è bastato. Questo risultato pone un problema al Pd ma anche a tutto il centrosinistra».

Dal lato della sinistra che lancerà sabato primo luglio a Roma una nuova coalizione (senza Renzi)  il problema non viene negato. Tacciono Bersani e Pisapia, che saranno sul palco a piazza Santi Apostoli, parla Massimo D’Alema e nomina la sconfitta: «Il crollo dei votanti è lì a testimoniare una sorta di sciopero del voto che ha danneggiato tutti e in modo particolare il centrosinistra», ammette, «il problema vero è  che non basta fare il centrosinistra se non c’è  una seria riflessione critica sulle politiche seguite nel corso di questi anni», dopo il jobs act e la ’buona scuola’, «se non c’è una svolta politica nei contenuti non c’è nessuna possibilità  di recupero». Stessa musica da Massimiliano Smeriglio, colonna romana di Campo progressista, che parla di «sconfitta senza appello per il Pd e la sinistra», «troppa arroganza, troppa frammentazione, troppe lotte per bande e troppo poco coraggio. In altri tempi i segretari si dimettevano per  meno. Vediamo quale altro danno farà Renzi. Noi ricominciamo dal 1 luglio a Roma per una sinistra di governo capace di ricostruire una connessione sentimentale con il nostro popolo». Il ritorno di Renzi all’autosufficienza del Pd – vediamo quanto durerà – chiude definitivamente l’ipotesi di dialogo  e ricompatta gli ex dem con l’ex sindaco di Milano.

Restano però aperti i problemi a sinistra: «La sinistra al voto è andata bene  quando ha espresso  una proposta radicalmente alternativa», ragiona Nicola Fratoianni. «Spero che Pisapia e Bersani l’abbiano capito e si comportino di conseguenza. In questo caso confrontiamoci su  una piattaforma chiara e comprensibile. Altrimenti non capisco a cosa serva la piazza del 1 luglio».