«Non possiamo stare chiusi in casa per tutto questo tempo. Dobbiamo ripartire. Piano piano ma ripartire», «se non ripartiamo ora moriremo di fame, non di Covid». Con un’intervista ad Avvenire e poi una newsletter, Matteo Renzi spara la sua sui tempi di fine lockdown. Come tutti, l’ex premier è preoccupato dei danni economici delo stop generale. Ma forse più di altri è impensierito anche dalla progressiva irrilevanza di Iv nell’era dell’emergenza. I sondaggi sono ormai inclementi.

In serata il presidente Conte chiude la questione, per ora: «E’ troppo presto» per organizzare la ripartenza delle attività fermate. Ma a pochi giorni dall’accordo fra governo e sindacati per nuove chiusure delle aziende non in grado di rispettare le condizioni di sicurezza dei lavoratori, Renzi prova a intestarsi i malumori dei falchi di Confindustria. E’ un applauso che in effetti gli arriva, ma ha un prezzo. E il prezzo è che deve rimangiarsi il tonante ossequio ai medici che aveva sfoggiato giusto una settimana fa al senato, in nome del quale aveva giustamente sbeffeggiato le pregresse tendenze antivax dei 5s e la loro tradizione antiscientista.

Ora però sul lockdown cambia idea. Del resto per Renzi la svolta disinvolta non è un problema. Ne ha fatto da premier sull’art.18 e sul Tav, poi da ex leader Pd sull’alleanza con i 5s e sul taglio dei parlamentari. Fino al suo ultimo discorso in aula: ha esibito orgoglio patriottico a pochi giorni da un’intervista alla Cnn in cui aveva invitato i governi a «non fare gli stessi errori dell’Italia» . E ieri il suo partito ha dovuto rimangiarsi la richiesta-bandiera di cancellare il reddito di cittadinanza.

Sul tema delle riaperture stavolta però ad alzare il cartellino giallo sono proprio gli scienziati da lui fin qui eletti a faro della politica. E per primo quel Roberto Burioni, virologo del San Raffaele di Milano, a cui in passato aveva chiesto di candidarsi nel Pd. Che stavolta gli dà torto: giusto pensare al futuro, dice, ma «in questo momento la situazione è ancora talmente grave da rendere irrealistico qualunque progetto di riapertura a breve», insomma «al momento bisogna stare tappati in casa, altrimenti si vanificano i sacrifici che abbiamo fatto fino ad ora, punto e basta».

La proposta di Renzi è di riaprire le fabbriche prima di Pasqua, cioè entro poco più di una settimana, e di accelerare il ritorno a scuola degli studenti, seppure con i termoscanner all’entrata e mantenendo le distanze precauzionali (solo immaginare che sia possibile nelle classi è fantascienza). Con Burioni si schierano altri infettivologi autorevoli, da Fabrizio Pregliasco («In questa fase è necessario arginare la dimensione dei morti che c’è stata in Lombardia»), a Gianni Rezza, dell’Istituto superiore della sanità, il più drastico: «Riaprire prima di Pasqua? Governo e Parlamento decidano prima quante vite umane vogliono sacrificare», «Renzi dalla tragedia di Bergamo non ha imparato proprio nulla». Meno tranchant è l’epidemiologo Pierluigi Lopalco che chiede di «non dare false aspettative» in assenza di dati. Ma concede che, data l’evidenza che lo stop non potrà durare all’infinito, per riaprire le aziende «serve una strategia». Una ciambella di salvataggio per Renzi, che la afferra al volo e spiega che voleva dire proprio questo. Ma aveva scritto un’altra cosa.

Le opposizioni, che dopo la ’convergenza oggettiva’ con il senatore fiorentino su un dopo-Conte targato Draghi, ora si vedono insidiare il ruolo di amiche di Confindustria. Forza Italia dà dell’inaffidabile» al leader Iv. Più cauto Salvini. Da ben altre altezze, anche lui è un leader il cui consenso va giù. E per non seguire il collega senatore in nuove contraddizioni stavolta si tiene sulle generali: «Riaprire tutto? Non mi sembra il momento».

Così Vito Crimi, reggente 5s, si può togliere lo sfizio di consigliare «intelligenza e progressione». «Renzi propone di riaprire scuole e imprese. Su quale basse scientifica lo fa?», attacca anche Nicola Fratoianni di Leu. Silenzio invece dal Pd. La linea dei big è non rispondere a un’uscita che nelle videochat dem viene definita «sconsiderata e dettata esclusivamente da ansia di visibilità, visto che Iv è ormai sotto il 3 per cento».