Sostiene Matteo Renzi che la revisione della crescita del Pil nel secondo trimestre 2015 (dallo 0,2 allo 0,3 mensile e dallo 0,5 allo 0,6 annuo) operata ieri dall’Istat sia una buona notizia. Così come sarebbe buona la stima per cui la crescita degli occupati (+ 0,8% e di 180 mila unità in un anno) è trainata dagli ultracinquantenni (+5,8%), trattenuti al lavoro dall’inasprimento dei requisiti imposti dalla riforma Fornero a dispetto dei più giovani dall’età compresa tra i 15 e i 34 anni (-2,2%) e 35-49 anni (-1,1%). Questa diseguaglianza generazionale, ormai dolente e strutturata, è accompagnata da quella territoriale: sebbene a livello nazionale il tasso di disoccupazione sia sceso al 12,1% (a giugno era al 12,5, ai minimi dal 2013), mentre quello di occupazione sia salito al 56,3% (+0,1% sul mese e +0,7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso), a Sud la disoccupazione è del 20,2%, a Nord del 7,9%. I dati di ieri confermano inoltre che per il quinto anno consecutivo aumenta il lavoro a termine, il part-time involontario (7 casi su 10). Questa è la fotografia di un mercato del lavoro sempre più diseguale, chiuso ai più giovani, mentre il lavoro è sempre più incerto per i più anziani.

Tanto basta per soddisfare il presidente del consiglio che ieri, in un video-messaggio anti-gufi, ha collocato nel «gruppo di testa dei paesi Ue» un paese dove il mercato del lavoro è sempre più precario e diseguale a livello generazionale e territoriale (a sud cresce l’occupazione, ma resta stabile la disoccupazione rispetto al Nord) «Settembre inizia con numeri buoni – ha detto Renzi – ma io non mi accontento: voglio un’Italia che sia la guida dell’Europa, punto di riferimento dell’economia europea e mondiale». Insomma manca poco alla conquista della «maglia rosa», basta credere nella danza dei numeri azionata immancabilmente da Palazzo Chigi. A Renzi ha fatto eco il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan che in un epitaffio su twitter ha celebrato il ravvicinamento del Pil alla stima dello 0,7% preventivata nel Def. Soddisfazioni aritmetiche celebrate dal ministro del lavoro Giuliano Poletti che, da par suo, ha confermato la natura diseguale della crescita occupazionale: riguarda esclusivamente il lavoro dipendente, e per nulla quello autonomo a partita Iva. Non poteva mancare l’ideologia: per Poletti il Jobs Act avrebbe messo in moto «la riduzione della precarietà».

Al di là del solfeggio propagandistico di rito, le stime dell’Istat attestano uno scenario diverso. La crescita in atto non è prodotta da nuova occupazione, ma dalla trasformazione dei vecchi contratti precari in quelli nuovi «a tutele crescenti» Sull’aumento di 44 mila occupati in un mese e 235 mila in un anno influiscono soprattutto i contratti a termine (+3,3%), il part-time involontario (sette casi su dieci) e solo in minima parte i dipendenti a tempo indeterminato (+0,7%) sostenuti dagli ingenti esoneri contributivi previsti a corredo del Jobs Act. Un dato assai modesto che conferma un aspetto culturale decisivo del governo Renzi, interessato al lavoro dipendente e a premiare l’impresa con sussidi a pioggia. In questo bilancio non bisogna nemmeno trascurare il boom del lavoro stagionale “a tagliando”, il voucher nel commercio e nel turismo che riguarda in parte preponderante i giovani ai quali è sempre più riservato il lavoro non qualificato e usa e getta, come uno scontrino. Nel primo semestre del 2015 sono stati venduti quasi 50 milioni di tagliandi dal valore nominale di 10 euro, +74,7% rispetto al 2014 e record soprattutto a Sud.

Un altro filo della verità lo ha tirato il numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi che si è augurato una stabilizzazione dei dati che oscillano di mese in mese e impediscono di parlare di una “ripresa vera”. Se, e quando si consoliderà, Squinzi sembra convinto – a ragione – che non cambierà il crescente divario economico tra Nord e Sud. Poi l’analisi va più a fondo e Squinzi sostiene impietoso: «La crescita del Pil dello 0,3% non basta, anche perché non è merito nostro ma è dovuto solo al dimezzamento del prezzo del petrolio a rafforzamento del dollaro e al Qe». Quanto ai rimedi, Squinzi resta allineato sul continuare a«fare le riforme». Dopo averne smontato le ricette torna d’accordo con Renzi.

«Siamo al colmo di un presidente del Consiglio che vanta i risultati già raggiunti e superati da Monti prima e da Letta poi, e di un presidente di Confindustria che si domanda come mai la crescita sia così bassa – commenta la segretaria Cgil Susanna Camusso – Se tornassero coi piedi per terra e la smettessero con la propaganda il Paese potrebbe cogliere le opportunità che sembrano prospettarsi».«Non so con chi ce l’ha Camusso – ha risposto seccato Renzi – è l’ ultimo dei miei problemi. Se fossi segretario di un sindacato sarei contento che c’è più lavoro stabile». Un gergo che non ammette repliche, né approfondimenti. La crescita è diseguale? Non si discute: va tutto bene. Punto e a capo.

«I toni propagandistici usati dal governo e dalla maggioranza stridono con la realtà che vivono i cittadini italiani quotidianamente», afferma Arturo Scotto (Sel). «Non possiamo rallegrarci dei cinquantenni che tornano ad avere una chance grazie al Jobs act, come li definisce in maniera truffaldina Renzi – sostiene Gianluca Castaldi (M5S) – perché in realtà sono lavoratori over 50 incastrati dalla riforma Fornero, sono l’unica fascia d’età in cui l’occupazione è in aumento».