Grande titolo in prima pagina subito sotto la testata, ieri Repubblica ha annunciato ai suoi lettori e al mondo il «Via libera al referendum». Una decisione che secondo il quotidiano romano è stata presa venerdì dall’ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, che sarà ufficializzata lunedì ma che il giornale ha potuto «anticipare». La notizia era già stata pubblicata, con minore enfasi e certo per meno lettori, il giorno prima dal manifesto. Perché la riunione in cui i giudici della Cassazione hanno preso la loro decisione si è tenuta giovedì, non venerdì. «Via libera al referendum. I ribelli Pd pronti al No» il titolo di Repubblica ieri, «Referendum, arriva il via. Dieci No dai gruppi Pd» il nostro titolo il giorno prima.

Fin qui poco male, cose che capitano, a volte anche a noi. Molto male invece che si voglia far passare l’idea – aprendo la prima pagine del giornale su questa notizia, come abbiamo visto non precisamente inedita – che solo adesso possiamo essere certi che il referendum costituzionale si farà. Solo adesso che la Cassazione ha accolto l’ultima richiesta, quella dei comitati per il Sì sostenuta da quasi 600mila firme dichiarate. La richiesta di Renzi. Non è così, perché che il referendum si farà lo sappiamo con certezza da esattamente tre mesi. Dal 6 maggio, quando lo stesso ufficio della Cassazione ammise le richieste presentate prima dai parlamentari sostenitori del No e poi da quelli sostenitori del Sì. Con quanta enfasi trattò questa notizia allora la Repubblica? Nessuna, si limitò a inserirla all’interno di un pezzo il cui titolo era «Riforme, la sfida di Renzi. Al referendum si vedrà con chi sta il popolo». Il genere di slogan, sia detto per inciso, che adesso il presidente del Consiglio evita di utilizzare anzi nega di aver mai usato, ora che «non sono io a personalizzare il referendum».

In effetti non c’era (e non ci sarebbe) da scaldarsi troppo per la decisione della Cassazione. Perché in definitiva il referendum costituzionale è un atto dovuto quando si presentano le condizioni previste dall’articolo 138 della Costituzione, la prima delle quali è che la riforma non abbia ricevuto in parlamento la maggioranza «qualificata» dei due terzi dei voti. Come in questo caso. Ovviamente per presentare il referendum come il risultato dell’iniziativa di Renzi bisogna mettere un po’ tra parentesi questi dettagli. E poi, annunciare che solo adesso possiamo stare certi che il referendum si farà aiuta palazzo Chigi a gestire la prossima mossa: la scelta della data.

Al punto in cui siamo, nulla impedisce al presidente del Consiglio di convocare la prossima settimana il Consiglio dei ministri che deve fissare la data del referendum. Più volte Renzi ha sostenuto che, fosse per lui, si andrebbe a votare «il più presto possibile». L’ha detto anche in televisione ma a ogni buon conto lo ripeteva ancora ieri in un retroscena sempre su Repubblica, dunque possiamo fidarci: «Io voterei anche subito». Da qualche tempo però, da quando le amministrative prima e i sondaggi poi hanno fatto capire al presidente del Consiglio che rischia seriamente di perdere la «sfida», a queste solenni intenzioni si accompagnava la necessità di aspettare la decisione della Cassazione. Che è giunta solo ieri, all’improvviso, senza dare il tempo di immaginare una data – perché così ci fa capire Repubblica. E non basta. Ora «ci sono i tempi tecnici da rispettare», aggiunge Renzi, sempre nel retroscena.

Ma neanche questi tempi «tecnici» sono misteriosi: il referendum si deve tenere minimo 50 massimo 70 giorni dopo il Consiglio dei ministri che lo indice. Dunque, convocando i ministri la prossima settimana, potremmo tranquillamente andare a votare nelle prime settimane di ottobre. Anche il 2 ottobre, come Renzi si augurò in tv prima che cambiasse il vento. La legge di stabilità, il parlamento impegnato nella sessione di bilancio non possono essere indicati come un ostacolo, arriveranno dopo (l’anno scorso il governo presentò la legge in senato il 25 ottobre). Eppure non andrà così e voteremo a novembre inoltrato. Perché per allora Renzi spera di aver risalito la china. Aiuti non gli mancano.