In prima fila a sinistra c’è il ministro Andrea Orlando, il collega Graziano Del Rio e Laura Puppato: un giovane turco, un renziano doc e una bersaniana tendenza filogrillina. A destra – siamo sempre e solo alla prima fila – c’è Ignazio Marino: il neosindaco arriva in bicicletta e caschetto, scortato da poliziotte e poliziotti in motorino e scarpe da ginnastica. Nelle file dietro, sedute o affastellate in una saletta di fronte Montecitorio, fra ventagli che ingaggiano un’impari lotta all’afa, si pressano le facce della «base» Pd con quelle dell’«altezza»: il segretario del Pd Lazio Gasbarra, il mariniano Meta, il veltroniano Morassut, l’ex portavoce di Veltroni Roscani, il ’turco’ Verducci, l’ex turco oggi ala sinistra dei rottamatori Matteo Ricci, presidente della provincia di Pesaro. È il parterre di pregio del lancio del documento «Riaccendiamo la speranza» di Goffredo Bettini, fucina intellettuale della Capitale, già dirigente Pci degli anni belli, ideatore del Modello Roma di Rutelli e Veltroni, gran pontiere di fossati ideologici, dall’imprenditore Caltagirone e ai radicali di Pannella (che grazie a lui nel 2009 entrarono nelle liste del Pd); e in ultimo infaticabile tessitore della corsa di Marino al Campidoglio.

L’occasione è la presentazione della sua ultima iniziativa «non un mozione congressuale» ma un testo per discutere da qui a settembre». I firmatari sono un mosaico di una sinistra ampia e variegata: i sindaci di Bologna e Forlì Merola e Balzani, l’assessore milanese Boeri, l’editore Dalai, i romani Gianni Borgna e Argentin, l’imprenditore Andrea Mondello, l’avvocato Andrea Petrucci, l’ex Azione civile Carmine Fotia. Il testo è una disamina impietosa (ed oggettiva) degli errori del Pd, dal cedimento culturale al berlusconismo, altra faccia del «correntismo a canne d’organo», all’incaponimento bersaniano, al governo Letta, all’umiliazione dei militanti e degli elettori che «guardano attoniti le nostre giravolte». Bettini propone la rifondazione del Pd e dintorni in un «campo largo» della sinistra costruito su circoli-agorà capaci di riaccendere «una nuova passione politica».

Il ragionamento è di gran livello, ma a rendere la sala un autobus all’ora di punta è la simpatia politica di Bettini per Renzi, l’uomo nuovo della provvidenza democratica. «Mettiamo il caso che diventi segretario, chi gli può togliere la possibilità di competere per la premiership? Avrà più forza per farlo», spiega Bettini, «Anzi se vincerà il congresso dal giorno dopo cambierà la politica italiana». Un vero endorsement, appena attenuato da una chiosa di modestia: «Sarei felice se Renzi si confrontasse con questo documento, ma non voglio forzare». Ma non c’è bisogno di forzare. Il renzianissimo Angelo Ruchetti, in sala, è diretto: «Penso che si potrà fare insieme un nuovo pezzo di strada».
Renzi non si fa sfuggire il jolly offertogli da uno dei padri del Pd, ideatore e interprete autentico della linea fundadora veltroniana. E se ad altri dirigenti di lungo corso ha riservato sberleffi (ha definito Veltroni «un grande romanziere», su D’Alema ormai c’è una sua ampia letteratura), stavolta accoglie l’iniziativa romana con una dichiarazione di stima dalle pagine di Repubblica. Da dove ieri ha annunciato la corsa per la segreteria. Aggiungendo: «Non si discute solo nelle sezioni, si fa politica anche in rete o nei luoghi del volontariato. A questo proposito c’è un documento di Goffredo Bettini molto interessante. Ci dovremmo spiegare perché in alcune zone d’Italia sono stati più i votanti alle primarie che allle elezione».

Renzi forse non lo sa, ma è bettinismo in purezza. E ha, da parte del sindaco di Firenze, una ragione serissima: Renzi l’anti-Roma, nel senso delle correnti del Nazareno, sa bene che non può vincere nel partito senza espugnare Roma, nel senso dei militanti e dei «quadri intermedi» della città. Fin qui nella Capitale ha fatto solo flop. Alle primarie del 2012, il suo 35 per cento nazionale qui si striminziava al 25,9. Alle primarie del 2013 per il Campidoglio, il ’suo’ candidato Paolo Gentiloni, stimatissimo amministratore, si è fermato al 14 per cento.

Oggi l’autorevolezza e la trasversalità di Bettini, la sua storica allergia alle correnti e al «Pd identitario», possono ribaltare la popolarità del Renzi candidato segretario. Bettini è stato nella cabina di regia della vittoria di Marino, altro estimatore di Renzi. Ieri Marino ha voluto esserci. Bettini ne ha annunciato la presenza con eleganza, «è qui per ascoltare»: anche per evitargli malumori fra i neoconsiglieri (c’è una sola renziana in Campidoglio, Valentina Grippo, e uno in giunta, Improta).

E c’è anche molto di più: Bettini è vicino al presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, unico vero potenziale leader del Pd ’non-renziano’ e ’non-bersaniano’. Che il sindaco di Firenze corteggia da tempo. Zingaretti per ora non si espone, c’è chi giura sulla sua preferenza per il candidato Cuperlo, suo ex compagno di Fgci. Ieri Zingaretti ha commentato l’iniziativa di Bettini con interesse: «Finalmente si parte dai contenuti e non dai nomi, e questo spinge tutti a porsi nel dibattito congressuale in maniera più libera», cosa che aiuta a «superare gli steccati e la cristallizzazione tra correnti. Che è il più grande problema che ha oggi il Pd».