Più o meno faticosamente, Renzi tiene a freno l’ira per tutto il giorno, e intenderebbe mantenere il silenzio anche oggi. La replica a D’Alema arriverà domani, nel discorso alla “scuola di partito” a Roma, e sarà durissima. Non è detto però che all’affondo che il segretario premier sta preparando seguiranno poi fatti davvero contundenti nella direzione del 21 marzo prossimo. Il momento della verità, però, sarà proprio quello. Non a caso l’ex discepolo strapazzato dall’antico maestro, Matteo Orfini, prima si concede una battuta facile ma davvero inevitabile: «Essere disconosciuti da D’Alema perché troppo arroganti è un non senso». Poi ricorda l’appuntamento già fissato, con toni che finiscono per forza per suonare minacciosi: «Ho chiesto che il dibattito tornasse nelle sedi opportune convocando la direzione per il 21. Spero che quel giorno possiamo trovare le risposte necessarie».

A commentare l’affondo durissimo dell’ex lìder maximo è l’ex braccio destro di Walter Veltroni, Walter Verini: quelle parole, dice, «mi pare che vadano oltre la normale e salutare dialettica interna a un partito per assumere i contorni di un antagonismo radicale al Pd». Si tratta probabilmente della linea di demarcazione che Renzi fisserà nello showdown della prossima direzione: critiche sì, ma se diventano attiva militanza contro il partito, mosse mirate a provocarne la sconfitta per “tirare giù” il segretario e il suo gruppo dirigente, allora proprio no. In effetti, se lo stato maggiore ha passato la giornata di ieri immersa in un fragoroso ed evidentemente non casuale silenzio, parecchi ufficiali invece si sono scagliati contro il reprobo coi baffetti, e tutti hanno battuto e ribattuto a volontà sullo stesso tasto: «E’ stato sleale».

In realtà, fatta salva la comprensibile ira che in un tipo permalosetto come Renzi in questi casi è proprio inevitabile, il padrone del Pd non si è preoccupato più che tanto per il pur violento affondo. Sul piano dei consensi e della capacità di mobilitare contro il partito pezzi di elettorato, i calcoli di palazzo Chigi sono più che ottimisti. In realtà Massimo D’Alema è uno dei pochi ex leader che godano di una fama tanto pessima da risultare immeritata anche ai più critici. Bastava farsi un giro nei social, ieri, per scoprire che anche i più sfegatati nemici del fiorentino considerano il rivale dello stesso stampo. Accostano al governo con Angelino Alfano e sostenuto da Denis Verdini quello con Cossiga e Mastella, confondono il Nazareno e la Bicamerale come se si trattasse della stessa cosa.

E se questi sono gli antirenziani, ci si può figurare gli altri. Anzi l’ostilità di un dirigente che ha finito per prestare eloquio e baffetti all’immagine della politica “inciucista” e intrigante dovrebbe finire per tornare addirittura utile.

Nella minoranza Pd, dove a levare le tende andando incontro a un futuro incertissimo non pensa nessuno, l’affondo dell’ex premier viene interpretato anche come un tentativo di forzare la mano agli altri dissidenti per spingerli verso un vero conflitto frontale.
Il discorso si fa ben diverso di fronte all’eventualità di un appoggio elettorale, aperto o appena velato, a candidati diversi da quelli targati ufficialmente Pd. Quello per Renzi sarebbe del tutto inaccettabile. Significherebbe essere di fatto, e presto anche di nome, fuori dal partito. Molto del corso futuro delle cose dipenderà da quel che deciderà di fare in questo week-end Massimo Bray. Ma con Marino in campo, la sua candidatura è quasi fuori discussione.