Non è facile raffigurarsi Matteo Renzi nei panni del prode Van Helsing, cacciatore di vampiri. Lui però proprio così si vede e lo spiattella nella settimanale e-news: «Noi le tasse non le aumentiamo. Anche per il futuro, a giudicare da quello che c’è scritto nel Def. Il Pd non è più il partito delle tasse, abbiamo rottamato Dracula».
Corrisponde già meglio al physique du role del conte transilvano Pier Carlo Padoan, con quell’aria perennemente cupa e tesa, dovuta in realtà allo stato dei conti che gli passeggiano quotidianamente nella testa. Non che Van Renzi chiami direttamente in causa il ministro dell’Economia. Anzi specifica che «il governo Gentiloni ha scelto la stessa strategia». Ma che il bersaglio sia proprio Padoan è fuori dubbio. Era stato appunto il vampiro, pardon il ministro, a ipotizzare l’aumento dell’Iva per finanziare quel taglio del cuneo fiscale che è stato sì messo nero su bianco nel Def, però senza avere idea di come coprire la spesuccia.

L’Ufficio studi di Confindustria, nell’audizione di ieri di fronte alle commissioni parlamentari, ha sentenziato pollice verso. La manovra illustrata nel Def comporterebbe una restrizione di 30 miliardi in 3 anni, troppi per non incidere a fondo su una crescita già stentata. L’intervento sul cuneo fiscale, cioè sul costo del lavoro, dovrebbe ovviare alla mancanza. Per farcela dovrebbe però essere sostanzioso. Al momento è previsto il taglio sulle assunzioni a tempo indeterminato di giovani e donne. La cifra messa in conto, un miliardo, è certamente calcolata al ribasso e probabilmente fortemente al ribasso. Ma un taglio così limitato non porterebbe i benefici auspicati e non sarebbe in grado di compensare la stretta lamentata dagli industriali.

Al doloroso pacchetto si aggiunge l’obbligo di sterilizzare l’aumento di un punto di Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. Su questo fronte, almeno formalmente, l’ex premier non fa storie. Quei 19,5 miliardi, salvo grazia sotto forma di nuova flessibilità da parte della Ue, vanno trovati e lo stesso Renzi lo sa. Dunque, almeno formalmente, acconsente. I dolori arriveranno quando si tratterà di passare dalle parole ai fatti, in concreto ai tagli o alle nuove entrate. Il precedente, tuttora in corso, della manovra aggiuntiva non autorizza grande ottimismo. A una settimana dall’annuncio del suo varo (sempre «salvo intese») i 3,4 miliardi non sono ancora stati trovati.
Per l’Europa non è un problema: la deadline scatterà solo il 30 aprile. Però che il governo non riesca a trovare un accordo con Renzi sulla cifra, a questo punto davvero esigua, che manca per raggiungere la somma indicata dall’Europa non depone bene sulla possibilità di trovare le cifre infinitamente più cospicue necessarie per disinnescare la clausola e finanziare un taglio robusto del cuneo.

Di questi particolari Renzi, impegnato nella sua campagna elettorale infinita, si preoccupa poco. Si limita ad assicurare che «non c’è nessun buco di bilancio» e che anzi il suo governo ha lasciato in eredità un tesoretto, anzi un tesorone, di ben 47 miliardi. E’ il malloppo di cui aveva già parlato alcuni giorni fa la fedelissima Maria Elena Boschi ed era subito emerso che trattavasi di bufala. E’ vero che nella legge di bilancio 2016 è stato stanziato il cospicuo fondo a cui allude l’ex. Non è vero che Renzi abbia anche chiarito come finanziare il medesimo fondo. Particolari…

Dal Mef non è arrivato nessun commento. La situazione è in realtà di stallo. Renzi ha molte frecce, anzi molti paletti acuminati antivampiri: tutte le forze politiche sono contrarie all’aumento dell’Iva, stasera i senatori del Pd incontreranno il ministro Padoan e glielo ripeteranno in coro, e una mossa simile poco prima delle elezioni sarebbe effettivamente quasi suicida. In più Renzi conta sul sostegno pieno del governo, a parte i due ministri tecnici con tutt’al più un paio d’altri, e in particolare di Gentiloni.
Padoan ha dalla sua l’aritmetica e Confindustria, che ieri si è spellata le mani applaudendo lo scambio Iva-cuneo ipotizzato dal ministro: «Sarebbe un forte stimolo alla crescita». Soprattutto il ministro sa di avere dalla propria parte Bruxelles. Se in autunno l’Europa sarà ancora quella che è oggi potrebbe essere un appoggio decisivo.