«Le elezioni europee? E che c’azzeccano col governo». Quando il leader politico di un partito di governo, e a maggior ragione il primo ministro, inizia a suonare questa musichetta il segnale è tanto chiaro quanto inequivocabile. Vuol dire che nel suo quartier generale regna una fifa blu. Del resto non è l’unico indizio del nervosismo che campeggia a palazzo Chigi. Renzi aveva impostato una campagna elettorale tutta all’offensiva, alla ricerca di una legittimazione popolare forte che gli permettesse di imporre le sue riforme. Giorno dopo giorno è stato costretto a ripiegare sulla difensiva, sino a fare di Beppe Grillo il vero protagonista della sua propaganda elettorale.

Il fatto è che fino a un paio di settimane fa Renzi avrebbe visto come uno smacco una vittoria tallonata dall’M5S. Puntava su uno scarto dai 5 punti in su. Oggi invece quel risultato infausto verrebbe salutato con grida di vittoria, essendosi insinuata tra i Pd la paura di finire secondi. I discorsi dei dirigenti, lontano dai microfoni, sono spicci: «Grillo è fortissimo al sud, ma i meridionali dovrebbero disertare le europee e con un astensionismo altissimo da Roma in giù possiamo farcela, anche se di stretta misura». A peggiorare l’umore, contribuisce la crescente sensazione che il principale alleato, Angelino Alfano, possa uscire dal ring in barella.

La coscienza di poter essere battuto nella sfida che avrebbe dovuto incoronarlo non comporta solo una trasformazione della campagna elettorale di Renzi, ma anche dei progetti per il dopo-elezioni. La vittoria netta che veniva data per certa fino a poco fa gli avrebbe permesso di calare sul tavolo politico l’asso della minaccia di elezioni anticipate: «O le mie riforme, senza toccare un capello, o vi trascino al voto e vi travolgo». Tra le due ipotesi non si sa quale avrebbe rallegrato di più Matteo il Vincitore. Il completamento delle riforme, pessime nel merito ma propagandisticamente preziose, avrebbe spinto il suo Pd verso una facile vittoria alle prossime politiche, ma le elezioni subito, col Consultellum, avrebbero comunque garantito la conquista di palazzo Chigi e in più gli avrebbero permesso di sgombrare il Parlamento dai fastidiosi esponenti della minoranza.

Sogni di ieri, salvo sempre possibili sorprese nelle urne. Al momento Renzi combatte per un primo posto risicato che verrebbe comunque salutato da lui e dalla stampa sempre sull’attenti, come un trionfo. La parola d’ordine diventerebbe resistere a ogni costo, e stavolta davvero fino al 2018. Il prezzo sarebbe dover ripagare Silvio Berlusconi non tanto con l’ingresso di Forza Italia nel governo quanto con l’iscrizione della giustizia e del presidenzialismo nell’agenda delle riforme. Un volta spostato in là di parecchio l’orizzonte delle elezioni politiche, la legge elettorale verrebbe tenuta in stand-by, nella speranza di poterla scrivere dopo la miracolosa scomparsa dei guastafeste a cinque stelle.

Ma per realizzare il progettino è di vitale importanza che Renzi strappi almeno il primo posto e che si piazzi intorno al 30%: così da potersi vantare di aver restituito al suo partito il primato perduto nel 2013 e di aver comunque sollevato l’incasso elettorale di 5 punti percentuali. L’imprevisto successo di Beppe Grillo verrebbe spiegato, sempre con la complicità dei media, col poco tempo avuto a disposizione dal governo dell’Innovazione per mostrare le sue meraviglie. L’incubo di ieri è il sogno di oggi, ma precipiterebbe ove i pentastellati fossero di nuovo primi. Dunque dita incrociate compagni, pardon amici, e speriamo che domenica i meridionali se ne vadano tutti al mare.