Il «super-mercoledì» 12 marzo che attende Matteo Renzi sarà anche all’insegna del taglio dell’Irpef. Ma forse così non è. Secondo le anticipazioni che Palazzo Chigi ha diffuso ancora una volta in alcune redazioni, ieri mattina sul piattino è stato calato l’asso di una riduzione dell’Irpef pari a 10 miliardi di euro. Di colpo, sarebbe stata accantonata l’idea cara al presidente di Confindustria Giorgio Squinzi: quella di tagliare invece l’Irap. Renzi avrebbe dunque risolto così l’alternativa che lui stesso ha posto al suo governo.

Ci sarebbero due strade: la prima prevede una riduzione di circa il 30% dell’Irap, usando così i 10 miliardi per l’abbattimento del cuneo fiscale. La seconda strada sarebbe quella di deviare il 25% della dote al taglio dell’Irap, 2,5 miliardi di euro verrebbero utilizzati per rafforzare le detrazioni Irpef ai lavoratori. A questi ultimi, stando sempre ai «si dice», andrebbero 80 euro netti in busta paga. Si parla, naturalmente, di lavoratori dipendenti con un reddito inferiore ai 25 mila euro lordi. Mai di precari o autonomi.

Rispetto alle ironie che colpirono ferocemente Letta e Saccomanni (la detrazione era poco superiore ai 10 euro, meno di un caffè al giorno per un mese), Renzi e Padoan metteranno nelle tasche dei dipendenti una «dote» complessiva di un centinaio di euro al mese. Sempre che sia questa la ricetta. Perchè, passata l’ora di pranzo, «voci» dall’esecutivo hanno avvertito ieri che questa è solo un’«ipotesi». Le decisioni saranno assunte nel consiglio dei ministri che dovrebbe avere luogo mercoledì e sul cui tavolo è atteso l’arrivo del pacchetto.

Punto e capo. Renzi è tornato alla casella di partenza, lo stesso percorso del gambero che ha caratterizzato la stagione di Letta-Saccomanni-Berlusconi. Dunque: Irpef o Irap? La riduzione deve andare ai lavoratori (come chiedono i sindacati, ieri assidui nel commentare con Angeletti e Bonanni). Oppure deve andare alle imprese, come chiede Squinzi? I fautori della «Renzinomics» sono del primo avviso. Il Tesoro, i vice-ministri Morando e Calenda, per il secondo. L’interrogativo fa girare la testa all’esecutivo dove si presume la coperta sia corta e nel fine settimana c’è chi si è messo per contendersela.

Ma forse domani ci sarà la stessa certezza, quella stabilita dal ministro dell’Economia Padoan secondo il quale sarebbe opportuno «concentrare tutto l’intervento in una direzione». In attesa del decreto che il Cdm dovrà varare, sulla tombola di palazzo Chigi nei prossimi tre giorni verrà giocata la carta che riguarda il modo per reperire i 10 miliardi di euro per il taglio al cuneo fiscale. Ora, è notizia più che nota che 6 miliardi (non più dunque i 3-4 preventivati) dovrebbero arrivare dalla «spending review» alla quale il commissario ex Fmi Carlo Cottarelli sta lavorando da tempo, e che da tempo sarebbe sulla scrivania del sottosegretario Graziano Delrio. Gli altri 4 miliardi dovrebbero arrivare dal rientro dei capitali in vista dell’accordo con la Svizzera.

Si tratta però di stime, non di somme già incassate. Di auspici, non di fatti. Imbracciando la speranza il governo si appresta a scalare la montagna del cuneo fiscale che, secondo i dati forniti ieri dalla Cgia di Mestre, ammonta a 296,4 miliardi di euro: 161,47 miliardi gravano sulle spalle dei datori di lavoro (pari al 54,47 per cento del totale), gli altri 134,97 (pari al 45,53 per cento del totale) sono a carico dei lavoratori dipendenti. Di questi 296,4 miliardi, 280,67 sono riconducibili al peso dell’Irpef, delle addizionali comunali/regionali Irpef e dei contributi previdenziali; gli altri 15,77 miliardi all’Irap. Nel caso in cui venisse confermata l’ipotesi di Renzi (e sconfitta l’opposizione che si anniderebbe al Tesoro) il cuneo si ridurrebbe del 3,4 per cento. In questo caso le fasce di reddito al di sotto dei 25 mila euro potrebbero ritrovarsi con oltre 700 euro netti in più all’anno, pari a circa 60 euro al mese. Dunque ben lontani dagli 80 promessi da Renzi-paperone. Sempre però che domani i numeri non cambino.