Federica Mogherini sarà la nuova Mrs.Pesc nella Commissione Juncker, che entrerà in carica il 1° novembre. Alla presidenza del Consiglio è stato scelto il primo ministro polacco Donald Tusk. Matteo Renzi ha avuto ragione dei dubbi e delle riserve di molti paesi, rispetto a una replica della trasparente Catherine Ashton. In mattinata a Parigi, la riunione dei primi ministri social-democratici aveva incoronato Mogherini. Così, la presidenza del Consiglio va al conservatore polacco Tusk (che non parla né inglese né francese, ma solo tedesco).

Per Federica Mogherini il compito non sarà facile: dovrà passare l’esame dell’Europarlamento e poi cercare di muoversi in un terreno deserto, visto che la politica estera della Ue è un ectoplasma, mentre i grandi paesi restano gelosi delle rispettive diplomazie (il servizio diplomatico della Ue esiste dal 2010, con 3600 funzionari, ci sono 140 rappresentanze all’estero, ma in tutti questi stati i paesi Ue continuano ad avere la propria ambasciata, mentre non è stato neppure possibile fondere i servizi consolari, persino tra la zona Schengen). Nella Ue i governi a guida conservatrice sono maggioritari.

Per il momento, dopo il fallimento del vertice di metà luglio, è stato scelto il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker del Ppe (ma votato anche dai social-democratici), e ieri è stato il turno di Mogherini (S&D) e Tusk (Ppe). Adesso il braccio di ferro politico si sposta sulle nomine dei commissari che contano, cioè quelli dei dicasteri economici.

Al centro della lotta c’è il francese Pierre Moscovici, pallido ex ministro delle finanze che Hollande vorrebbe agli Affari economici e monetari, ma che la Germania osteggia (potrebbe ottenere la Concorrenza), mentre Merkel punta al Commercio, visto che in ballo nei prossimi mesi c’è la conclusione dell’importante trattato con gli Usa, la «Nato del commercio» Ttip. Lo spagnolo Luis De Guindos, conservatore sostenuto da Merkel, sarà il prossimo presidente dell’Eurogruppo. La battaglia per i posti, che deve tener conto della nazionalità, della posizione geografica e della consistenza del paese, oltreché dell’equilibrio uomini-donne, non è ancora finita. Ma già è chiara la progressiva politicizzazione della Ue. Per il momento, il campo conservatore è uscito vincente.

Per la prossima Commissione Juncker, c’è una difficoltà in più: gli stati si stanno mostrando reticenti a rispettare la mezza parità della compagine precedente. Solo 4 donne sono state scelte, per il momento, contro 19 uomini (alcuni paesi devono ancora comunicare il nome del loro futuro commissario). Ieri, il presidente dell’Europarlamento, Martin Schultz, ha avvertito: «la Commissione senza equilibrio di genere potrebbe venire bocciata» a Strasburgo.

Ma non ci sono state solo nomine al consiglio europeo straordinario di ieri sera a Bruxelles. Di fronte alla crisi che non cede e alla minaccia di deflazione nella zona euro, i 28 accelerano sull’economia. Il 7 ottobre ci sarà un vertice in Italia per il rilancio della crescita, sull’occupazione e gli investimenti, come ha voluto Renzi e il giorno dopo, su richiesta della Francia, si riuniranno i leader della zona euro. L’obiettivo è, secondo Hollande, stabilire dei «margini di flessibilità», rallentare i «ritmi della riduzione del deficit», per renderli «compatibili con gli obiettivi di crescita». La zona euro affonda nella crisi, l’Italia, che ha la presidenza semestrale del Consiglio Ue, è in recessione, la Francia è al palo, persino l’economia tedesca frena, la disoccupazione esplode e rischia di trasformarsi in una bomba politica. Bisogna «riorientare» la Ue. I tempi non sono rapidissimi, però. Aspetteremo ottobre, per l’indicazione della grandi linee. Poi bisognerà attendere ancora l’entrata in carica della nuova Commissione Juncker, il 1° novembre. Juncker ha proposto un progetto di investimenti di 300 miliardi in tre anni (la Francia ne aveva chiesto 1200 in 5 anni), per dare un po’ di fiato all’economia (rigore nei bilanci nazionali, in cambio di uno stimolo europeo). L’offensiva coordinata tra Francia e Italia, seconda e terza economia della zona euro, sta cercando di trovare una breccia a Berlino.

L’ultimo episodio della manovra è stata la svolta del governo Valls II e la patetica ammissione – «amo l’impresa» – del primo ministro di fronte al padronato francese. Ieri, dopo essere stato ricevuto da Hollande alla riunione dei social-democratici, il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha visto a Bercy il nuovo ministro dell’Economia francese, l’ex banchiere Emmanuel Macron. Gabriel resta solidale della posizione di Merkel – consolidamento di bilancio per permettere la crescita – ma qualcosa si muove, a causa dei brutti dati sull’andamento economico, che riguardano tutti, anche la Germania. Ci sarà una minore ossessione sui tempi del rientro dei deficit, ma non bisogna aspettarsi un vero e proprio piano Marshall: i paesi in deficit eccessivo (o con debiti eccessivi, come l’Italia) dovranno continuare a fare «i compiti a casa».