La direzione è tracciata e non si devia di un centimetro. L’ordine di Matteo Renzi nella riunione del mattino con i capigruppo Zanda e Rosato, presente anche Maria Elena Boschi, è tassativo. Nessuna trattativa con Alfano. Nessuno stralcio. Nessun rinvio a data da destinarsi travestito da delega al governo in materia di adozioni. Nessun marchingegno come il pre-affido. Si sfida l’aula, con la ragionevole convinzione di potercela fare anche nel voto segreto sulla stepchild adoption.

Nonostante il chiacchiericcio di questi giorni, Renzi non avrebbe potuto fare una scelta diversa. Se ce la fa e porta a casa l’intera legge passerà all’incasso con gli elettori di sinistra nelle urne di giugno. Se non ce la dovesse fare, avrebbe comunque il merito di aver tenuto duro sino all’ultimo, rifiutando il compromesso con i centristi, e in termini di popolarità a sinistra ne uscirebbe altrettanto bene.

Il voltafaccia dell’M5S non ha spinto il premier a cambiare rotta e non si capisce bene secondo quale bizzarra logica avrebbe dovuto farlo. Al contrario, la libertà di coscienza stabilità dai vertici pentastellati gli offre un alibi perfetto casomai il voto segreto dovesse registrare qualche brutta sorpresa. Potrà dire, come ha fatto ieri con il suo stato maggiore parlamentare: «E’ Grillo che ha fatto dietrofront e se ne assume la responsbailità».

Il ripensamento del comico è dovuto in parte ai sondaggi che registrano una larga maggioranza favorevole alla legge con tanto di adozioni tra i militanti ma un quadro molto più contrastato tra i potenziali elettori e in parte ai dubbi di Di Maio, che minacciava di votare contro la stepchild. Il che avrebbe creato al Movimento un bel problema, perché una cosa è cacciare per disobbedienza un parlamentare come ce ne sono tanti, tutt’altra mettere alla porta una delle pochissime figure spendibili. Resta il malcontento, per tenerla molto bassa, dei parlamentari costretti da un giorno all’altro a passare dalla massima rigidità («Se cambia anche una virgola non votiamo la legge») alla «libertà di coscienza». Verrà inevitabilmente fuori nella riunione congiunta dei gruppi parlamentari convocata per martedì. Ieri i generalissimi Grillo e Casaleggio, con un post congiunto, hanno ricorretto la correzione di rotta. E’ vero che il verdetto del web era stato largamente favorevole e vincolante nel voto finale sulla legge, spiegano, ma sulle adozioni aveva lasciato la porta aperta al voto di coscienza. Dovrebbe signifcare che, comunque finisca il braccio di ferro sulla stepchild adoption, i senatori a cinque stelle voteranno a favore della legge.

E’ un ulteriore aiuto a Renzi: fino a ieri poteva temere che l’eventuale parziale svuotamento della legge spingesse comunque i pentastellati a bocciarla nel voto finale. Ora può stare tranquillo: comunque vada il voto segreto, la legge passerà. Del resto al Senato i casi di coscienza nell’M5S non dovrebbero andare oltre tre voti contro le adozioni, anche se un altro paio di senatori potrebbe astenersi dal voto. Com’è ovvio ieri i pallottolieri di palazzo Madama erano roventi. Sulla carta i risultati danno tutti il sì in vantaggio anche nella segretezza, ma tanto di misura da non garantire alcuna certezza. Si tratta però di conti ufficiali, che non tengono conto della probabilità, per non dire della certezza, che alcuni voti in dissenso favorevoli alle adozioni arrivino da Fi, dove potrebbero essere 5, dal Gal, dove dovrebbero essere 2, dai conservatori di Fitto, dove un paio di indecisioni ci sarebbero.

Il vero cuore del problema, il ventre molle della legge, resta il Pd. Gli indecisi sono tanti: 35, ai quali si sommano una decina di possibili bocciature della stepchild nel gruppo delle Autonomie. Se di qui al voto nessuno di quei potenziali voti dem in dissenso verrà recuperato, il rischio di un dimezzamento della legge ci sarà davvero. Ma come il vertice di ieri mattina ha dimostrato e la riunione di ieri sera del capogruppo Pd Zanda con i senatori Lumia e Maran ha confermato, qul rischio non modifica la strategia di Renzi.

C’è un solo elemento che potrebbe spingere il premier a cambiare idea, e lo si verificherà oggi stesso. I calcoli del governo si basano sull’«accordo tra gentiluomini» raggiunto nella conferenza dei capigruppo, quello che prevede il ritiro della stragrande maggioranza degli emendamenti. A quel punto, con solo qualche centinaio di emendamenti in campo, anche la mina dei voti segreti verrebbe ridimensionata: potrebbero arrivare al massimo a una ventina e probabilmente non oltrepasserebbero la soglia prevista, tra i 10 e i 15. Ma se qualche gentiluomo dovesse non dimostrarsi tale, se emendamenti e voti segreti dovessero restare esorbitanti, a quel punto anche Renzi rispolvererebbe il canguro.