«Prudenza, equilibrio, buon senso»: sono queste le stelle polari del governo italiano quando si tratta di guerre libiche, «ben diverse da chi immagina di intervenire in modo superficiale e poco assennato». Parola di Matteo Renzi, che alla fine, visto che non erano bastate le assicurazioni di Nicola Latorre, e le «note informali» di palazzo Chigi, si è messo alla tastiera per intervenire di persona. «La guerra – prosegue a partire proprio dalla tragedia dei due ostaggi uccisi – è una parola troppo seria per essere evocata con la facilità con cui viene evocata in queste ore».

L’impegno bellico italiano non è escluso, però «solo sulla base della richiesta di un governo legittimato». E comunque dopo «tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari». Specifica in realtà superflua dal momento che, come fa notare il capo dei deputati di Sinistra italiana Scotto, «non è una sua gentile concessione, ma è la Costituzione che lo prevede». Scotto insiste perché il governo non aspetti che prenda forma l’auspicato governo «legittimato» libico: «Vorremmo che il Parlamento venisse informato passo dopo passo». Non è una richiesta avanzata solo dalla sinistra. Anche Forza Italia, con Debora Bergamini, chiede la stessa identica cosa: «Il governo dovrebbe spiegare in Parlamento cosa intende fare, in quale quadro e per quali ragioni».

Capita che sia precisamente ciò che Renzi intende evitare. La furia con la quale, in questi giorni, reagisce ai tamburi di guerra che rullano sulle colonne dei principali quotidiani è certamente dovuta in parte alle preoccupazioni elettorali, che nella mente del premier non sono mai secondarie.

Ma non bastano a spiegare la reazione irritatissima trapelata nelle ultime 48 ore, dovuta davvero alla delicatezza della situazione diplomatica, però non solo e forse non tanto in Libia quanto in Europa. L’ira del premier italiano va addebitata in parte al clamore mediatico degli ultimi giorni, in parte alle pressioni dei futuri alleati perché l’Italia rompa gli indugi, e in parte anche maggiore all’intreccio tra i due livelli, dal momento che i fari accesi dei media rischiano di indebolirlo nella trattativa con gli altri Paesi che dovrebbero far parte della coalizione,
Il punto è che intorno alla terra libica si giocano e si intrecciano diverse partite e che l’annientemento dell’Isis è solo una delle poste in gioco. Renzi non ha dimenticato l’esito disastroso dell’avventura imposta da Giorgio Napolitano nel 2011. Ieri l’ha ricordata Berlusconi, che all’epoca era contrarissimo a quella guerra e che ora rivendica le proprie effettivamente ottime ragioni, glissando però sul quello che per l’Italia è stato il bilancio più negativo, la perdita dei vantaggi che il regime di Gheddafi assicurava alla penisola sul fronte del petrolio e del gas, come su quello dell’immigrazione.

Che oggi una guerra in Libia possa prescindere da un preventivo e non facilmente realizzabile accordo spartitorio tra le potenze europee è di fatto impossibile. Del resto è noto che una delle difficoltà principali sulla strada della formazione del governo unitario libico è proprio la diversa opinione delle potenze europee, Francia in testa, sulla composizione di quel governo.

Matteo Renzi, insomma, vuole giocare la partita che porterà forse alla guerra senza luci della ribalta. Non sul piano diplomatico e neppure su quello militare. Se le navi salperanno, il Parlamento dovrà dire la sua. Ma quando a partire saranno squadre di incursori, meno se ne saprà più il governo sarà soddisfatto. Grazie all’emendamento al decreto sulle missioni approvato il 16 novembre scorso il capo del governo ha la facoltà di inviare nuclei operativi armati senza chiedere il permesso a nessuno e senza dettagliare cosa quei nuclei vadano a fare. Intende avvalersene fino in fondo.

Del resto anche in Parlamento saranno in pochi a chiedergliene conto. Non è ancora stato stabilito se alle comunicazioni del ministro degli Esteri di mercoledì prossimo farà seguito o no un voto. Il governo vorrebbe evitare ma anche se non ci riuscirà, difficilmente si tratterà di un voto particolarmente rilevante, sia perché la reticenza di Gentiloni non sarà meno pronunciata di quella di Renzi, sia perché l’opposizione, almeno quella di destra, balbetta. La Lega accosta al no di Maroni alla spedizione le dichiarazioni truculente di Salvini, che vuole «intervenire per cancellare l’Isis dalla faccia della terra». I fittiani, con Capezzone, chiedono chiarezza ma plaudono al decreto che fa del capo del governo una specie di comandante assoluto. Fi oscilla.

Alla fine il dibattito si concentrerà giocoforza sui molti misteri della liberazione dei due ostaggi in Libia e dell’uccisione degli altri due. Ma anche su quel fronte si può star certi che dal governo una parola di verità non potrà arrivare.