Renzi, #semitocchilaCasa degli italiani sarà un Vietnam dentro e fuori il Parlamento». «È un “esproprio di Stato” che assegna uno strapotere impensabile alle banche». Dai Cinquestelle (l’hashtag sopra è di Luigi Di Maio) fino al Codacons – che annuncia un esposto – la rivolta contro l’ultimo “blitz” del governo non si è fatta aspettare: no alla legge che permetterebbe alle banche di requisire immediatamente e mettere in vendita la casa su cui è acceso un mutuo, senza passare dal giudice e dalle relative aste.

La novità verrebbe introdotta attraverso un decreto legislativo (dlgs) attualmente in esame alla Commissione Finanze della Camera (proprio oggi il testo torna in discussione), atteso quindi subito dopo sul tavolo del Consiglio dei ministri per il varo. Il dlgs prevede la modifica del Testo Unico Bancario, che disciplina i casi di inadempimento del consumatore evitando le procedure di esecuzione.

La nuova legge disporrebbe che se il debitore salta il pagamento di sette rate del mutuo, il finanziatore può adottare le procedure per «gestire i rapporti con i consumatori in difficoltà nei pagamenti». La banca e il sottoscrittore del mutuo possono quindi inserire nel contratto la previsione che la casa ipotecata venga restituita alla banca, perché sia venduta, in caso si verifichino sette mancati pagamenti. La banca può così recuperare la somma prestata, e dovrà eventualmente dare tutto il resto al debitore.

Non si passerebbe quindi attraverso la decisione del giudice, e la messa all’asta dell’abitazione (con relativa perdita del valore dell’immobile). I tecnici della Camera, peraltro, hanno segnalato potenziali benefici per il debitore, ovvero chi ha contratto il mutuo: la vendita più rapida dell’immobile può in teoria garantire un incasso anche al debitore, pari alla differenza tra l’incasso effettivo della vendita e il valore del mutuo. Al contrario, quando si arriva alle aste giudiziarie il valore della casa in genere si riduce inesorabilmente, e in tasca a chi inizialmente aveva contratto il mutuo di fatto non va nulla.

Il favore agli istituti di credito è doppio: innanzitutto perché si velocizza l’acquisizione e si rivaluta (o meglio, si impedisce la svalutazione) di un bene che secondo le leggi attuali vedrebbero (quando va bene) dopo circa 7 anni. Dall’altro si va a intervenire sul delicato (quanto attualissimo) tema delle sofferenze bancarie: una buona parte dei crediti inesigibili nella pancia delle banche è infatti costituita da mutui che i sottoscrittori non riescono a pagare più, ma che per gli attuali meccanismi la vendita della casa ugualmente non riesce a coprire con adeguatezza.

Se passasse la riforma, la banca avrebbe subito in mano la casa e potrebbe venderla nei tempi normali e a valori di mercato, magari anche dopo i lavori di restauro già fatti dal proprietario, ieri suo cliente e oggi debitore. Messa così, è chiaro che il provvedimento “scovato” nei meandri del dlgs in discussione – per quanto rappresenti il recepimento di una direttiva europea sulla trasparenza dei contratti stipulati da banche e clienti – abbia aizzato le opposizioni e le associazioni dei consumatori.

«Hanno già aggredito i nostri stipendi, i nostri posti di lavoro, i nostri risparmi», dice il vicepresidente della Camera dei deputati, Luigi Di Maio. «Non faremo abolire il principio che sia
il giudice a decidere se una banca può mettere le mani sulla casa», gli fa eco un altro M5S, Daniele Pesco, dalla Commissione Finanze di Montecitorio.

«Si assegna uno strapotere impensabile alle banche, annullando di fatto qualsiasi tutela per gli utenti in difficoltà – afferma il presidente del Codacons Carlo Rienzi – Una misura che potrebbe costituire addirittura fattispecie penalmente rilevanti, considerate le tante tragedie che si registrano in Italia quando un cittadino perde la casa per problemi con il pagamento del mutuo. Proprio per questo abbiamo deciso di investire la magistratura della questione, affinché verifichi la legittimità della direttiva».

Il Codacons si dice pronto alla battaglia legale e a impugnare il provvedimento nelle sedi opportune qualora dovesse essere recepito nel nostro ordinamento: «Lo squilibrio tra le parti è talmente evidente che la norma potrà essere fatta decadere», conclude Carlo Rienzi.