«Bloccano il Ddl, ma poi accusano il governo» ha scritto Matteo Renzi nella Enews, il messaggio inviato ieri agli iscritti del partito democratico. Minaccioso nei toni, sprezzante con il movimento dei docenti (e non solo dei sindacati) che si oppone al Ddl, il presidente del Consiglio imbroglia le carte. Non sono gli emendamenti a impedire l’approvazione del testo, ma l’opposizione interna al Pd che rischia di negargli i voti al Senato. Renzi sta celebrando un congresso anticipato del suo partito ai danni dei docenti precari e conferma l’intenzione di mettere la fiducia sul Ddl.

È l’arma della fine del mondo contro la quale la minoranza Dem non avrà il coraggio di opporsi. Senza i suoi voti non ci sarà né la riforma, né il governo. Renzi sta pressando i suoi senatori in vista di un accordo che potrebbe anche esserci.

«Non siamo noi che vogliamo fermarci, ma le assunzioni hanno senso solo se cambiamo la scuola, se c’è un nuovo modello organizzativo» ha aggiunto il Presidente del consiglio. La necessità di approvare 100.701 assunzioni insieme all’introduzione della misura incostituzionale del preside-manager che chiama i docenti da un «albo territoriale» è infondata. È ormai chiaro che quest’ultima norma non sarà mai approvata dalle camere entro il 30 giugno e sarà vigente solo a partire dal 2017. Le assunzioni saranno fatte in un regime di transizione non ancora chiarito, mentre il governo (sempre che duri il prossimo anno) procederà alla scrittura delle deleghe in bianco che il Senato si troverà costretto ad approvare la prossima settimana. Uno studio della Flc-Cgil ha dimostrato che i posti vacanti coperti dai precari sono 134 mila e non poco più di 100 mila, come dice il governo.

Assunzioni che potrebbero essere fatte subito, indipendentemente dalla riforma. Renzi ha citato Elena Centemero di Forza Italia secondo la quale la scuola «non è fatta per creare posti di lavoro». Proposizione frutto di una visione aziendalistica del lavoro dell’insegnante che trova più di un’assonanza in quello che scrive Renzi: «La scuola non è un ammortizzatore sociale».

È un’accusa curiosa per un governo costretto a fare una stabilizzazione di massa, ancorché parziale, visto che non rispetta la sentenza della Corte di giustizia europea che lo obbliga ad assumere almeno 250 mila persone nella scuola. Nella sua disordinata carica anti-sindacale, il presidente del Consiglio dimentica che queste assunzioni rispondono a un diritto acquisito, non sono una sua graziosa concessione. Una confusione che deriva dall’impronta proprietaria che Renzi attribuisce a una riforma in cui si è speso personalmente. È stata confermata la «conferenza nazionale» sulla scuola a luglio, cioè dopo l’approvazione della riforma.

Ancora una prova illuminata di dialogo con la società in movimento. E in autunno il governo si dedicherà all’università: introdurrà un Jobs Act per i precari e modificherà lo status giuridico dei docenti. Nel frattempo Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto al governo un «confronto vero, garantendo comunque subito le assunzioni tramite decreto». Ipotesi da tempo scartata da Renzi. Camusso, Barbagallo e Furlan sostengono che la scuola «rischia di pagare un costo altissimo per le scelte del governo».