«Siamo persone perbene e non abbiamo paura dei processi», dunque il ministro Lotti non si deve dimettere: «È una persona straordinariamente onesta, io non lo scaricherò mai. Sono pronto a scommettere che né Lotti né il generale Del Sette abbiano commesso questo reato» e cioè la rivelazione di segreto e favoreggiamento per cui lo indagano i pm napoletani nell’ambito dell’ichiesta sulla Consip. Quanto al «babbo», che poche ore prima è interrogato dai magistrati su un presunto traffico di influenze: «Di quello che ha fatto mio padre deve rispondere lui davanti ai magistrati. Considererei gravissimo se fosse condannato per questa vicenda. Conosco i valori ai quali la mia famiglia mi ha educato. Io so chi è mio padre». Dopo tre giorni di inferno, in cui è stato tentato «di mollare tutto», Matteo Renzi fa la cosa che gli riesce meglio da sempre: «Rilanciare ancora più forte». Parla da Ottoemezzo (La7) alla fine di una giornata in cui nel Pd è quasi silenzio stampa, eccetto i candidati alle primarie. Dice di «non credere ai complotti» ma poi scivola: «C’è un disegno evidente in queste ore di tentare di mettere insieme cose vecchie di mesi», «si creano tensioni ad hoc ».

Veleni, tensioni, polemiche. Un groviglio indistinguibile fra lotta politica e indagini giudiziarie. Il barcone del Pd (che è «molto difficile sia ancora al 40 per cento», ammette Renzi) è entrato in una tempesta, fa acqua da tutte le parti, non si sa come ne uscirà. Renzi vede il consenso sgretolarsi intorno, ma per ora tiene il timone: «Le primarie saranno il 30 aprile? Stra-Sì». Su questo l’ex segretario è granitico. Ieri la stampa riportava voci di richiesta di rinvio delle primarie da parte di Dario Franceschini e di Piero Fassino. In mattinata la prima netta smentita del vicesegretario Lorenzo Guerini. Poi quella di Renzi, che respingere i retroscena ma forse anche avverte chi, fra i suoi, in queste ore spera nel rinvio delle assise. «Nessun alibi per rinviare la discussione». Per Franceschini è solo «zizzania», «una cosa inventata».

Ma al Nazareno l’aria è pesante. A tranquillizzare Renzi e quelli che gli sono rimasti fedeli non bastano i sondaggi che lo danno vincente ai gazebo al di sopra del 50 per cento (il 54 secondo il sondaggio meno favorevole). La tensione si taglia con il coltello. Si riverbera ovunque. Nel pomeriggio nel consiglio dei ministri il Guardasigilli Andrea Orlando chiede il nulla osta per la fiducia sulla riforma del processo penale. Ma il ministro Costa avanza una serie di rilievi tecnici avvertendo che non tutto il governo è d’accordo con la legge. Angelino Alfano, che pure assicura i voti di Ncd, chiede di non utilizzare il provvedimento a fini di propaganda: «Lasciateci fuori dal congresso del Pd e dai vostri problemi». Orlando replica assicurando che il giorno della fiducia non sarà in aula, proprio per evitare che l’approvazione della legge sembri un successo personale. Ma la vera obiezione che arriva dall’Ncd è di fondo, ed è sul tema delle alleanze: ancora ieri Orlando, nella sua veste di candidato segretario, spiega a Repubblica tv che «nessuno di noi ha pensato che la situazione attuale possa essere la stessa anche in futuro. Non escludo alleanze con i centristi, ma quella con la destra dobbiamo assolutamente evitarla». Il partito di Alfano si chiama Nuovo centro destra. Peraltro come Alfano la pensa proprio Franceschini, il teorico dell’alleanza «dei sistemici», Alfano incluso, contro «gli antisistema». Una formula politica che rischia di trasformare il voto in un nuovo referendum costituzionale: tutti contro il Pd.

Per Renzi il referendum è stato «una botta», per questo si copre, a modo suo, annunciando il ticket con il ministro Maurizio Martina, ex bersaniano, che dovrebbe attirare la sinistra nell’unica lista che sosterrà Renzi. Unica, per impedire alle correnti che lo sostengono di contarsi e pesarsi. Altra decisione che semina malumore fra i suoi sostenitori.

Ma le primarie si faranno, nonostante la tempesta giudiziaria che si abbatte sul padre di Renzi e sul suo migliore amico Lotti. E nonostante i brogli nel tesseramento, e la consegna delle tessere di Miano (Napoli) alla procura. «Vedo il Pd a rischio», avverte Orlando.

Ma per il suo ex compagno di corrente Matteo Orfini, intervistato dall’Huffington Post, a mettere a rischio il partito sono quelli che parlano come Orlando: «C’è chi gioca allo sfascio, dentro e fuori il Pd». Sul caso Consip anche per Orfini, come per il suo leader, se non c’è un complotto contro Renzi, poco ci manca. In più il presidente Pd si dichiara «colpito» (la formula è retorica) dal fatto che a parlare della famosa cena nella bettola fra «babbo Renzi» e l’imprenditore arrestato Romeo (cena poi smentita) sia «una personalità, come Mazzei, che ha avuto un ruolo così importante nel partito e l’onore di rivestire ruoli importanti in una delle più autorevoli fondazioni della sinistra italiana, Mezzogiorno Europa». Di cui fondatore e presidente è Giorgio Napolitano, sostenitore di Orlando.

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Nel groviglio mefitico fra politica e inchieste, anche il candidato Emiliano mette del suo: lui, spiega, aveva già «capito cosa stava accadendo, che il Pd stava cadendo in un sistema di potere». In Transatlantico però in queste ore si sente raccontare, sotto giuramento di anonimato, che lui, in quanto magistrato, avrebbe potuto sapere prima di un’indagine che, «vecchia di mesi» per dirla con Renzi, sarebbe riesplosa durante le primarie contro la rielezione di Renzi a segretario. Un bel vantaggio per chi lo sfida. Per questo Emiliano non avrebbe mai avuto davvero intenzione di uscire dal Pd, nonostante quello di cui erano convinti gli ingenui bersaniani. Un’indiretta conferma di questo racconto viene, a sorpresa, dalla forzista Laura Ravetto, moglie del dem Dario Ginefra, braccio destro di Emiliano. Interrogata in radio da Un giorno da Pecora, ammette candidamente: «Escludo assolutamente che stessero per uscire, non hanno mai pensato una cosa del genere. Per quanto ne so».