Renzi non vuole tirare Mario Draghi nella giostra infernale dell’inchiesta parlamentare sulle banche. Lo dice, lo fa dire ai suoi ufficiali e per una volta non c’è motivo di dubitare delle sue parole. Lo scontro frontale con la Bce e con il suo presidente, salvatore della patria, non è negli interessi del segretario del Pd. Il problema è che non sta a Renzi stabilire dove fermare la macchina del fango e ad arrestarla il ragazzo di Rignano non ci pensa per niente. «Non abbiamo interesse a coinvolgere Draghi», ripete il capogruppo Rosato. «È l’atteggiamento piuttosto irresponsabile di Bankitalia e Consob a voler spostare il tiro su Draghi», duetta Bonifazi, tesoriere dem e uomo di fiducia del capo.

Il nodo dolente che tormenta in questo weekend il Colle è proprio questo. Da quel che si è visto giovedì in commissione, i due istituti di vigilanza sono pronti a tutto pur di scaricare altrove le responsabilità proprio della mancata vigilanza. Si sono azzannati praticamente in pubblico. Con maggiore discrezione, parlando in forma anonima con cronisti vari, è stata la Bankitalia nel mirino a far sapere che nel 2009 la Vigilanza della banca centrale aveva comunicato all’allora governatore i dubbi sulla Popolare di Vicenza, documento che sarebbe stato ignorato da Draghi. Una volta partita la giostra, governare la velocità dei giri non sta più nelle mani di nessuno e Sergio Mattarella lo sa. La settimana prossima arriverà in una Commissione che somiglia come una goccia d’acqua a un’aula di tribunale la faccenda più spinosa, il caso Monte Paschi di Siena. Il nome di Draghi potrebbe tornare in ballo per l’acquisizione di Antonveneta, anche quella un’operazione spericolata ma autorizzata da Bankitalia quando Draghi era governatore.

Del resto, se anche si riuscirà a tenere il presidente della Bce fuori dal girone infernale romano, si sarà evitato il peggiore dei guai, non tutti gli altri. Già l’antipasto di giovedì in commissione è bastato a demolire la credibilità di entrambi gli istituti. Il Pd non intende fermarsi e sul fronte delle banche venete non ha rinunciato all’idea di un confronto all’americana che solo a nominarlo fa tremare le vene ai polsi di parecchi presidenti: quello della Commissione Casini, quello del consiglio Gentiloni, quello della Repubblica. Martedì si passa al tritacarne Mps e poi dovrebbe trovarsi sul banco degli imputati il bersaglio grosso, Ignazio Visco.

Commentatori e pezzi grossi si sprecano nell’elargire consigli di prudenza a un Renzi che da quell’orecchio non ci sente. «Ricostruire la verità sulle banche è una salita degna dei migliori scalatori. Ma lo faremo perché è un punto fondamentale», ha ripetuto anche ieri. Molti sono convinti che sia una scelta dettata dalla convenienza elettorale. Renzi vuole a tutti i costi scrollarsi di dosso quell’immagine torbida di difensore non disinteressato dei poteri finanziari che ha demolito più di ogni altro elemento la sua credibilità e inoltre è più che mai deciso a superare lo stesso Grillo per riprendersi l’immagine vincente del rottamatore.
E’ tutto vero. Ma quali che siano i moventi di Renzi, resta il fatto che non si capisce cosa dovrebbe fare una commissione parlamentare d’inchiesta se non indagare, senza pesare col bilancino quanto conveniente o quanto pericolosa sia la verità.