Ad abbassare toni e tiro Matteo Renzi non ci pensa per niente. Al contrario dal Pakistan rincara, evidentemente deciso a rendere la provocazione insopportabile per Giuseppe Conte. Va giù durissimo. «Io non voglio andare alle elezioni. Se cade il Conte bis ci sarà un nuovo governo, non le elezioni», scrive nella sua enews. Ma quel governo non sarà un Conte ter, perché, secondo l’ex premier, il tentativo di portargli via senatori a mazzi non è riuscito: «Non ne vedo dieci pronti ad andarsene (per adesso non ne vedo nemmeno uno)». Se poi i famosi responsabili spuntassero fuori e il Conte ter, contro ogni previsione del ragazzo di Rignano, nascesse, allora «noi staremmo felicemente all’opposizione».

NON CHE LA provocazione aperta di Renzi sia del tutto incomprensibile. Nel week-end, nonostante le smentite ufficiali, anche palazzo Chigi ha giocato in modo altrettanto duro e spregiudicato. Sabato scorso la notizia dell’incontro tra Conte e Mattarella al Quirinale, fatta trapelare dall’entourage del presidente del consiglio e corredata da voci su una posizione di Conte estremamente drastica e decisa a chiudere subito la partita con Renzi, sembrava fatta apposta per restituire il quadro di un presidente della repubblica quasi direttamente impegnato nella ricerca dei «responsabili» che dovrebbero togliere a Renzi il potere di vita o di morte sul governo al Senato. Tanto che il Quirinale, la mattina dopo, smentiva parlando di un Sergio Mattarella «stupito» per le indiscrezioni riportate da alcuni giornali. «Stupore», nel lessico felpato del Colle, si traduce con «furore».

RENZI È CONVINTO che l’operazione responsabili sia già fallita. Perché i numeri al Senato Conte non li ha, ma anche perché, di fronte all’ipotesi di un governo sostenuto dagli Scilipoti e dai Razzi di turno, il Pd è diviso, i 5 Stelle smarriti, il Colle quanto meno perplesso. Il capo di Italia viva mira dunque a incassare subito i dividendi della controffensiva andata a vuoto di Giuseppe Conte. Rivendica in pieno il diritto a muoversi in libertà in caso di disaccordo con il resto della maggioranza. Sulla giustizia, per prima cosa. «Nessuno ha detto che vuole sfiduciare Conte. Abbiamo detto che sulla prescrizione faremo valere i nostri numeri e su questo non torniamo indietro».

La battaglia delle dichiarazioni e il gioco dei colpi bassi però non può durare all’infinito. Prima o poi lo scontro dovrà arrivare a un momento della verità, passando dalle parole ai voti in aula. Forse succederà già domani o giovedì, con il voto sulle intercettazioni in aula a palazzo Madama, anche se la fiducia dovrebbe impedire la spaccatura. Forse sulla prescrizione, quando il disegno di legge sul processo penale arriverà in Parlamento. Oppure, più probabilmente, in qualche occasione oggi imprevedibile. Se, quando la divisione si produrrà, Renzi sarà sconfitto grazie alle manovre dei «responsabili» sarà costretto ad abbassare le penne. Se invece sarà lui a mandare il governo in minoranza, la ferita sarà insanabile.

MA IN QUEL CASO la scommessa di Renzi su un nuovo governo non limitato a pochi mesi, un governo elettorale deciso dal presidente e guidato da un suo premier di fiducia, è forse la più azzardata in una carriera politica che non sfigurerebbe nei casinò di Las Vegas.

LA CARTA COPERTA del leader di Iv è la certezza di poter a quel punto mettere in campo i senatori azzurri vicini a Mara Carfagna. Dal momento che votare prima di settembre sarebbe impossibile e un altro governo dovrebbe quindi nascere, è convinto che, con una maggioranza più solida di quella attuale, quel governo arriverebbe ben oltre il prossimo autunno.
La soluzione su cui punta il capo di Italia viva dovrebbe però superare indenne molti scogli: i dubbi del capo dello Stato, che in caso di crisi vuole le elezioni anticipate, la resistenza dell’ala del Pd che già non voleva la nascita di questo governo e a un ennesimo esperimento è contrarissima, con il segretario Nicola Zingaretti e il vice Andrea Orlando in cima alla lista, l’enigma dei 5 Stelle, che probabilmente si spaccherebbero.

Certo, tutto sarebbe molto diverso se la Lega e il Pd accettassero di dar vita a una sorta di governo di unità nazionale. Matteo Renzi ci spera, ma Matteo Salvini lo ha già gelato, dicendosi favorevole solo a un governo fatto per portare alle elezioni, e per Zingaretti l’eventualità resta fuori discussione.