Arrivati a un soffio dalle urne la parola d’ordine del capo è «Minimizzare». Matteo Renzi si è reso conto di aver sbagliato strategia sulle trivellazioni: con la sua discesa in campo ha finito per fare involontariamente da testimonial per un referendum che, nei suoi progetti, doveva passare più o meno inosservato. Così non è stato, e pare che con gli intimi don Matteo scarichi la responsabilità dello sbaglio sui suoi luogotenenti. Sarebbero stati Guerini e Serracchiani a lanciare la campagna astensionista in pompa magna, trascinandolo, meschino, in una sfida mediatica che rischia di spingere verso il voto molta più gente del previsto.
A questo punto, la cosa migliore per riparare al danno è fingere che domenica si giochi una partita di serie C. In visita alla redazione del Resto del Carlino a Bologna il capo disinnesca, o almeno ci prova. «Non è un referendum politico. Riguarda il futuro di molti lavoratori e le fonti di approvvigionamento». Idem per quanto riguarda il dissidio, che più profondo non poteva essere, tra la visione delle cose sua e di Giorgio Napolitano da una parte e quella del presidente della Consulta Grossi dall’altro: «Non c’è nessuna polemica. Tutte le posizioni sono legittime. Ciascuno esprime la propria valutazione». Un po’ come se, invece che di Costituzione, si discutesse dell’ultimo film visto. A qualcuno è piaciuto, a qualcuno no, i gusti son gusti.
L’alter ego del Magnifico, «Mariaele», ministra colta e capace di esprimersi in inglese, spiega alla potente platea della Trilateral, in consesso a Roma, che il referendum, a suo parere, non avrà esito postivo ma quand’anche «non cambierebbe nulla». Infatti «riguarda un piccolo aspetto della legge». Come sintetizzerebbe il capo, “una bufala”. «Ma se fosse vero che il referendum non serve a niente, perché non hanno modificato la legge come hanno fatto per tutti gli altri punti sui quali c’erano quesiti referendari?», commenta la capogruppo di Si al Senato De Petris. E’ chiaro che qualcosa di importante nella legge invece c’è: «La difesa dell’enorme favore fatto alla lobby dei petrolieri», secondo la capogruppo di Sinistra italiana.
Nella sua partita giocata barando, Renzi può contare su alti appoggi di ogni tipo, alcuni per aperto sostegno, come quello di Napolitano, altri per discreta omissione, come nel caso nel presidente in carica Mattarella. Il capo dello sStato a votare ci andrà. Del resto un presidente della Repubblica che si astiene sarebbe in effetti un po’ troppo. In compenso Mattarella è deciso a muoversi in modo tale da dare al ragazzo di palazzo Chigi il meno fastidio possibile. Dunque intende non far sapere né dove né a che ora si recherà a votare, per evitare l’effetto-spot costituito dal suo voto con codazzo di telecamere e domande dei giornalisti. Per lo stesso motivo propende al momento per votare nel pomeriggio, dopo i tg, e forse addirittura nel tardo pomeriggio.
E’ anche vero che solo Grillo ha tentato in questi giorni di incalzare il presidente. Lo ha fatto anche ieri: «Renzi e Napolitano, dalla parte dei petrolieri invitano al gesto antidemocratico dell’astensione. Nel silenzio di Mattarella». Forse una pressione più corale e massiccia avrebbe spinto il discretissimo inquilino del Colle ad assumere posizioni un po’ meno sfuggenti. Ieri il movimento di Grillo ha anche annunciato che denuncerà Renzi e Napolitano per aver invitato all’astensione. Ci sono in effetti due articoli di legge che si prestano alla denuncia. La L.361 del 1957 stabilisce una pena di tre anni per i pubblici ufficiali che «abusando delle proprie attribuzioni» inducono all’astensione. La L. 352 del 1970 chiarisce che la norma vale anche per i referendum. Un po’ tirata per i capelli ma sufficiente almeno per chiarire che la disinvoltura di Renzi, se non quella di Napolitano che pubblico ufficiale non è più, è stata davvero estrema.
Nonostante il tentativo di minimizzare in extremis, la preoccupazione per il voto di domenica al Nazareno e a palazzo Chigi resta alta. Non solo per il risultato in sé ma per l’effetto slavina che una partecipazione più alta del previsto, anche senza quorum, potrebbe avere sulle due ulteriori prove elettorali che attendono Renzi nei prossimi mesi: le amministrative, affrontate dal Pd ormai senza più certezza di vittoria neppure a Milano, e un referendum sulle riforme dove, pur senza quorum, troppi milioni di persone decise a votare no qualche preoccupazione la creerebbero. Solo se a votare domani sarà meno del 30% Renzi si sentirà tranquillo.