Fedele alla massima filosofica che da secoli ispira le modeste sorti del capitalismo italiano – chi volta el cùu a Milan, volta el cùu al pan (chi volta il sedere a Milano, lo volta al pane) – il presidente del Consiglio Matteo Renzi ieri ha fatto lo splendido sul palco del Piccolo Teatro con un discorsetto pensato per parlare al cuore e al portafoglio dei cosiddetti poteri forti che comandano a Milano. Il tema è noto, la realizzazione di “un centro mondiale di ricerca e tecnologia applicata sulle scienze della vita” da realizzare sull’area di Expo; meno chiaro fino a ieri era il ruolo del governo e il livello di coinvolgimento e condivisione del business con “Milano e i suoi punti di forza” – come scrive il Corriere della Sera che da giorni spinge per “milanesizzare” la fetta più consistente della torta.

Il capo del governo è stato rassicurante con la “classe dirigente milanese” e ha lasciato intendere che nessun soggetto che conta sarà lasciato indietro. Ce ne sarà per tutti e “l’unica cosa che non sono disposto a fare è lasciare questo progetto in mano ai campanili, è inaccettabile per l’Italia e per Milano”. Al netto di altri stucchevoli slogan su quanto siamo bravi (lui, il suo governo, il suo partito, Milano, i milanesi che puliscono i muri, etc) sul piatto è rimasto il progetto “Human Technopole, Italy 2040” e un bel pacco di soldi, la promessa più gradita di tutte. “La proposta che fa il governo – ha detto Renzi – è quella di un grande centro di ricerca mondiale sulla genomica, il big data, la nutrizione, il cibo, l’ecosostenibilità”. Potrebbero lavorarci da subito 1.600 persone e “siamo pronti ad investire 150 milioni di euro per dieci anni”. Mica male per cominciare.

La regia del progetto, secondo il governo, dovrebbe essere affidata all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Una “soluzione a tinta unica” (sempre Corsera) che da queste parti non è tanto gradita poiché renderebbe marginale il ruolo dell’università Statale e degli altri atenei milanesi che già si erano posizionati sull’area, anche grazie “alle migliori intenzioni di investimenti dei privati” (per essere chiari). Insomma, tirare in ballo Genova da queste parti è stato vissuto come se per tirare un rigore al derby della madonnina si fosse alzato un giocatore della Samp. Se ne riparlerà, le trattative sul chi, sul come e su quanti soldi sono appena cominciate, per ora ha avuto buon gioco una promessa da 1 miliardo e mezzo di euro.

Basta così? Sì, il premier più ciarliero di sempre sulla questione politicamente più spinosa di Milano ha tenuto la bocca cucita. Segno di grande debolezza, visto che il suo candidato era lì al suo fianco che scalpitava. “Grazie Beppe, non posso dire altro per noti motivi”.

Pur non sapendo dove sbattere la testa qualora “Beppe” decidesse legittimamente di partecipare alle primarie del centrosinistra, è Sel che ieri ha voluto alzare la voce sul post Expo trattando Sala come se fosse il peggior nemico. Sarà la forza della disperazione: “Non stupisce che il manager Sala – precisano Anita Pirovano e Chiara Cremonesi – abbia già dato il suo assenso alla proposta di governo: è esattamente quello che ci si aspetta da lui, prono alle idee di Renzi. Stupisce che lo abbia fatto da ad di Expo spa dove è pagato per rappresentare anche il Comune di Milano. Stupisce che lo abbia fatto a quanto pare intenzionato a scappare dalla gestione del dopo Expo ben prima della presentazione dei bilanci reali non assumendosi responsabilità per le molte criticità aperte e magari operando per coprire le magagne del nuovo ruolo a cui il governo lo ha nominato nel cda di Cassa Deposito e Prestiti”.

Un attacco coi fiocchi. Ma allora, se non è uno scherzo, la domanda per i milanesi di Sel rimane la stessa: come è possibile aver perso mesi prima di capire che il Pd avrebbe calato il suo peggior asso nella manica pur di seppellire il “mito” dell’esperienza Pisapia? Risposta difficile, forse perché dopo un fallimento di questa portata bisognerebbe avere il coraggio di trarne le conseguenze.