Hanno paura e hanno fretta. Solo così si può spiegare l’intendimento del governo, e di Renzi in prima persona, di trasformare per decreto le Banche Popolari in SpA.

Adesso che diventa visibilmente intollerabile che l’1% della popolazione si appropria di circa la metà della ricchezza mondiale, prima che ciò alimenti la rivolta del restante 99%, Renzi si affretta a consegnare ai suoi dante causa un patrimonio economico finora inespugnabile perché protetto dalla Costituzione e dalla cultura democratica e solidarista che ha dato origine alle Banche Popolari.

Si tratta di circa il 40% dei depositi bancari, di quel tessuto creditizio che ha garantito, pur in tempi di restrizione del credito, alla piccola e media industria, all’artigianato, quote di finanziamento superiori a quelle assicurate dalle grandi banche private; di quella struttura che non è scalabile dalla speculazione finanziaria perché protetta dalla legge e dagli statuti che prevedono che le decisioni si prendono con il consenso delle persone e non dei pacchetti azionari.

Questo proprio non va giù ai sacerdoti del liberismo selvaggio.

Daniele Manca, nel suo corsivo sul Corriere della Sera, lo esprime con brutale crudezza e considera una eresia che chi detiene un milione di quote possa contare come chi ne detiene dieci.

Il fatto che uno vale uno e che per scelta libera e condivisa sia il primo che il secondo abbiano scelto di investire in una Banca Popolare, in una cooperativa, accettandone le regole viene considerato inaccettabile da chi pensa che una persona vale il suo capitale e non per la propria libera scelta. (leggi qui l’art. 30 del testo unico bancario).

A nessuno è impedito di investire nelle banche private che sono società per azioni e per questo nessuno può costretto a mettere i propri risparmi in balia di quella finanza capace di divorare tutto e tutto trasferire nella disponibilità e nel potere di quell’1% che ormai controlla il mondo.

E’ evidente che l’attacco alla democrazia, alla democrazia economica in questo caso, si dispiega a 180 gradi secondo la direttiva data dal noto documento della Morgan Stanley che denunciava come gli ordinamenti democratici siano un ostacolo da abbattere per il pieno dispiegarsi del potere dei mercati.

E Renzi, che dell’attacco alla democrazia ha fatto la sua ragione di governo, dopo i diritti dei lavoratori nei posti di lavoro e quello dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti si appresta ad attaccare il diritto di chi non intende omologarsi ed assoggettarsi alla legge mercatoria.

Perché di questo si tratta.

Le Banche Popolari nascono dalla cultura solidaristica, dallo spirito del mutuo soccorso che ha animato il movimento socialista e quello cattolico fin dall’ottocento e ha dato vita alle cooperative, alla cooperazione come alternativa alla competizione che costringe i più deboli a sottostare alla legge del più forte. Anche per questo la Costituzione tutela in modo specifico questo valore sociale ed economico ed è illuminante il dibattito che su questo tema si sviluppò tra i padri costituenti di cultura socialista, cattolica e liberaldemocratica e si concretizzò nel testo della legge fondamentale.

In modo ricorrente l’attacco alle Banche Popolari è riproposto con la complicità della Banca d’Italia e con l’argomento infame che difendere le Popolari significa conservazione, antimodernità.

Persino nell’ultima tornata degli stress-test hanno provato a far cadere le Popolari alzando l’asticella e hanno dovuto riconoscere, alla fine, che due di queste erano persino più performanti delle banche SpA italiane la cui proprietà è sempre meno decifrabile e, in buona parte, nelle mani di fondi finanziari speculativi di varia provenienza. Non contenti di questo, e anche degli adeguamenti nel sistema di verifica della rappresentanza e della governance introdotti dal Parlamento alla fine del 2012, adesso ci provano con l’atto d’imperio di un decreto di evidente illegittimità costituzionale.

Difendere le Banche Popolari da questo ennesimo attacco significa difendere un pezzo importante della democrazia economica di questo paese, il diritto a non omologarsi e sottostare ai dettami della speculazione.

Non si tratta di una difesa di una corporazione come si vuole fare credere ma della difesa di una idea di società nella quale la cooperazione e la solidarietà, il rapporto tra le persone e i cittadini siano regolati dalla libera scelta di ciascuno a garanzia di quel pluralismo che si declama a parole e che si nega con le azioni animate dallo spirito totalitario che si esprime nell’azione di questo governo.

E’ un attacco alla democrazia, ad uno dei suoi pilastri, ad uno dei corpi sociali intermedi che costituiscono l’organismo di una società plurale e complessa, come lo sono i sindacati, le associazioni democratiche, le comunità religiose o quelle politiche.

Norma Rangeri ha titolato il suo editoriale, lucido ed intelligente, “un partito in vendita”.

In realtà ormai Renzi ha messo in vendita l’intero paese, le sue strutture produttive rimaste, le imprese che costituiscono l’oggetto del desiderio dei capitali in cerca di profitti, il patrimonio dei beni pubblici offerti in nome della riduzione di un deficit che intanto aumenta in ragione delle sue politiche di asservimento alla troyka.

Si leggeva sul Corriere dei giorni scorsi il suggerimento di uno dei tanti sponsor del presidente del consiglio di costituire con l’enorme patrimonio immobiliare pubblico, stimato da tutti di valore doppio rispetto al debito, un fondo capace di restituire, in un solo colpo, il 40% del debito.

L’illustrazione di come Renzi intende il risanamento del paese: venderlo a saldo alla finanza e, ça va sans dire, ai suoi amici finanzieri che si sperticano nel sostegno del genio che salverà il paese.