L’allarme è rosso. La paura, a sinistra, tanta, accompagnata però dalla convinzione, inconfessata ma evidente, che il disastro francese possa essere anche un’occasione. Questa consolazione, però, non alberga nel cuore e nella mente del capo dello Stato. Per lui, il trionfo di Marine Le Pen è solo motivo di fortissima preoccupazione, e per difendere l’euro e l’Europa, stavolta senza nemmeno concedere nulla alla richiesta di ripensamenti e correzioni di rotta, sceglie la prima occasione disponibile. E’ la cerimonia in ricordo delle Fosse Ardeatine, e Giorgio Napolitano non si fa pregare.

Chi se la prende con l’unità europea attenta alla pace europea. Il presidente va giù con l’accetta: «La pace non è un regalo ma una conquista dovuta precisamente a quella unità europea che oggi troppo superficialmente si cerca di screditare e attaccare». Il presidente rivela così il fondamento ideologico della difesa dell’Euro a tutti i costi, ma la sua ammissione è una prova di debolezza. Mettere in campo una poco probabile ipotesi di nuova guerra europea segnala quanto i difensori dell’Euro temano ora i “populisti”, e non solo quelli d’oltralpe.

Accusata di attentare alla pace, la Lega risponde per le rime. «Parole vergognose», sbotta Salvini. Il risultato francese lo rende giulivo: il suo partito e Fratelli d’Italia sono le sole forze politiche che proclamino apertamente il gemellaggio con il Front National.

Dall’Aja, Matteo Renzi, dopo essersi sentito con il collega francese bastonato Hollande, sceglie un registro opposto a quello del presidente. Di fatto minimizza, perché si tratta pur sempre di «un voto di protesta significativo, ma che resta un voto locale». Poi però il premier si adopera per cogliere al volo la possibile occasione. Se non chiede all’Europa di «riflettere su se stessa» è solo perché «lo avevamo già chiesto prima e continuiamo a farlo». Conclusione: «L’Europa deve prendere atto che è molto forte e diffuso in tutti i paesi un sentimento di contestazione e antipolitica che in parte deriva dalle scelte dei singoli governi». La sola risposta possibile «è la crescita».
Renzi non lo dice apertamente né potrebbe farlo, ma una parte della sua azzardata scommessa politica si fonda proprio sulla speranza che l’onda montante antieuropea spinga, convinca o costringa la Germania ad allentare i vincoli e a rivedere le ricette di austerity. I primi colloqui con Angela Merkel sono serviti solo a conquistare i limitati spazi di manovra necessari per le prime misure, quelle indispensabili per affrontare le europee. La partita vera si giocherà dopo, e a quel punto l’alleanza con Hollande dovrebbe essere rinsaldata dall’interesse, anzi dal bisogno comune.

Non è un caso se Renzi glissa sull’altro aspetto saliente delle elezioni francesi, la sconfitta secca della sinistra di Hollande. Se c’è una cosa che in questo momento vuole evitare a ogni costo, è proprio che agli elettori italiani venga in mente l’identificazione tra il governo Hollande e il suo. Sulla mazzata affibbiata dai francesi al loro presidente si soffermano invece sia i partiti di centrodestra, soprattutto Forza Italia, che Sel, per motivi ovviamente opposti. Gli azzurri, come se non bastassero i molti nodi che li stanno già strangolando, si trovano in posizione scomoda anche in materia di Europa. L’«euroscetticismo moderato» non è la posizione più popolare, dunque si mettono al riparo della posizione più facile. Qualcuno, come Capezzone, se la prende con le politiche europee che «producono disastri», ma senza sfiorare i toni lepenisti degli anti-euro conclamati. Molti, come Santanchè, preferiscono gongolare perché «la sconfitta della sinistra è senza appello». Vendola, invece, parla di Hollande per rivolgersi a Renzi: «Quando uno eletto per fare cose di sinistra fa cose tipicamente di destra come Hollande, le conseguenze elettorali sono evidenti». Ma questo è davvero solo un trailer. Per una volta ha probabilmente ragione Borghezio. Lo tsunami vero arriverà dopo le europee.