«Non basta un ritocco, un ’rimpasto’, o si cambia radicalmente o si muore». Il giorno dopo la bacchettata di Napolitano alle camere e al governo, è Davide Faraone, della nuova segreteria Pd, a dare voce al malumore dei ’falchi’ renziani. Lo stop presidenziale al decreto, impresso con una modalità irrituale (una telefonata al premier dopo che una camera aveva già approvato il testo, una prima assoluta nella storia della Repubblica) è una critica, oltreché ai presidenti delle camere, ormai chiara e tonda al governo, regista di tutta l’operazione.

Ma per forza di cose il monito di Napolitano si abbatte anche sui gruppi parlamentari della maggioranza. Soprattutto su quelli del Pd, da dove ora tutti alzano grida postume contro il decreto-pasticcio. Gli emendamenti dello scandalo sono stati approvati e in molti casi persino proposti dall’esecutivo. Ma è sempre più evidente che i deputati e i senatori democratici non hanno la forza di «cambiare verso», per usare lo slogan caro a Renzi, alle iniziative del governo Letta-Alfano. O forse non ne hanno l’intenzione.

E così la figuraccia del ritiro del Salva-Roma, ufficialmente sul conto di Letta, è stata a un soffio dal trasformarsi nella prima scivolata del Pd a trazione renziana. In queste ore, che non sono di vacanza per i nuovi vertici del Pd, il segretario ha un imperativo urgente: «Non far massacrare l’immagine del Pd», è quello che si sono sentiti dire alcuni suoi collaboratori. Il guaio è che l’idea del rimpasto che circola in queste ore – la chiedono i montiani che hanno due ministri ma di area Casini, la chiedono i renziani a svantaggio dei ministri di area Colle -, anche nella versione più radicale, rischierebbe di apparire una soluzione molto ’Prima Repubblica’. Che si risolverebbe alla fine in un altro danno di immagine per Renzi.
È per questo che Faraone, su facebook, lancia l’ennesimo ultimatum al governo. Parla di «un filotto impressionante» di errori: legge di stabilità di ’galleggiamento’, slot machine, affitti d’oro, da ultimo il Salva-Roma.

«Mentre noi lavoriamo ad un’agenda con dentro grandi riforme per il paese, con tempi certi di realizzazione, al governo e in parlamento, con il suo ’bicameralismo perfetto’ (un vero ossimoro) c’è chi brucia tutto. Così non va. Eletto Matteo Renzi si azzera il contagiri e si riparte». Il timing della ripartenza prevede entro i primi dieci giorni di gennaio il nuovo patto di governo-maggioranza per arrivare al 2015 (legge elettorale, pacchetto lavoro, ius soli, riforme istituzionali). Entro fine gennaio il primo incardinamento e avvio della legge elettorale, a cui gli sherpa renziani lavorano in queste ore; entro febbraio varo definitivo della riforma. Che sarebbe così pronta all’uso nell’evenienza di una caduta di governo.

Le parole di Faraone suscitano un vespaio nel Pd. Coro di approvazione dal coté renziano, freddi tutti gli altri. «Il Pd oggi è al governo del paese, non all’opposizione; anzi è di gran lunga il maggior azionista di questo governo. Fare il megafono dei grillismi non serve, soprattutto se si fa parte di un gruppo parlamentare che ha sostenuto e votato quei provvedimenti», replica Anna Ascani.

Controreplica Dario Nardella, renziano ma non ultrà: «Il 90 per cento del Pd pensa che in questi mesi il governo abbia fatto davvero troppo poco. Ma mi voglio convincere che grazie al cambio di rotta che tutti assieme stiamo portando, nei prossimi mesi i risultati del governo non mancheranno». Ma il moderato Giacomo Portas dà voce all’anima governista: «Il governo dovrebbe imparare a comunicare meglio. Le leggi di stabilità si possono migliorare, ma in questa siamo intervenuti su esodati, sanità, giovani, scuola, non abbiamo aumentato le tasse e non abbiamo fatto tagli lineari. Chi si ostina a non vedere che lo spread a 219 punti è un fatto positivo si iscrive al partito dello sfascio».

La discussione svela il nodo che verrà al pettine le prime settimane dell’anno nuovo. Letta sarà in grado di portare avanti il programma di Renzi, mentre dall’esterno i forzisti bombardano Alfano e tentano di sfilargli a uno a uno i parlamentari? D’altro canto, in caso di risposta negativa, Renzi sarà in grado di indurre i gruppi dem all’autoaffondamento, e cioè a votare contro la sopravvivenza del governo e cioè di se stessi? L’area franceschiniana, renziana ma governista che molto si era spesa per portare a casa il Salva-Roma poi sconfessato dal Colle, è contrarissima alle elezioni prima del 2015. Ma per molti renziani, il problema di autoaffondare il governo a guida Pd potrebbe non porsi affatto. Il cerino dell’eventuale sarebbe in mano ai montiani, in grandissima sofferenza nel governo Letta, e già da tempo fedeli alleati del sindaco di Firenze.