Il messaggio ad Angelino Alfano lo ha voluto dare ieri in prima persona lo stesso premier, Matteo Renzi, spiegando che per ora – e tantomeno in agosto, come chiede il ministro degli Interni – l’articolo 18 non verrà abolito. «L’articolo 18 è assolutamente solo un simbolo, un totem ideologico – ha detto il presidente del consiglio durante la trasmissione di Rai 3, Millennium – Proprio per questo trovo inutile stare adesso a discutere se abolirlo o meno. Serve solo ad alimentare il dibattito agostano degli addetti ai lavori».

Una “via di uscita” già piuttosto battuta, in passato, quella di affermare che “non è questo il problema”, e che ad esempio non ha impedito al governo guidato da Mario Monti di manomettere pesantemente la tutela dai licenziamenti per ingiusta causa. Concetto ripreso qualche giorno fa dalla ministra della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, che aveva spiegato che il governo non è intenzionato a impelagarsi in discussioni che inevitabilmente «dividono». Ma poi era arrivata l’intervista agostana – accoppiata alla pessima uscita sui vu’ cumprà – del presidente di Ncd.

Il premier, ribadendo quindi che la questione non è all’ordine del giorno, ha aggiunto che invece il governo è intenzionato a modificare lo Statuto dei lavoratori: «Con il decreto Poletti – ha ricordato Renzi – ci sono 108 mila nuovi assunti, lo certifica l’Istat. Inoltre si è fatto un ddl delega che si sta discutendo in Parlamento. È giusto o no riscrivere lo Statuto dei lavoratori? Sì, lo riscriviamo, e riscrivendolo pensiamo alla ragazza di 25 anni che non può aspettare un bambino perché non ha le garanzie minime, non parliamo solo dell’articolo 18 che riguarda una discussione tra destra e sinistra. Parliamo di come creare posti per le nuove generazioni, non solo di articolo 18 sì o no».

Stop dal premier anche a «larghe intese» sull’economia, l’idea cioè che il Patto del Nazareno con Fi possa estendersi: «I dossier degli altri li leggo sempre, ma per noi l’accordo è su due punti: le riforme istituzionali e la legge elettorale». Forza Italia, comunque continua a tessere la sua tela: e ieri con Giovanni Toti ha ribadito l’«ok ad abolire l’articolo 18», come aveva fatto il giorno prima Renato Brunetta.

D’altronde dal fronte del Pd, nel giorno delle dichiarazioni di Alfano, erano venute fuori posizioni ambigue. Per un Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro, che stoppava l’aggressione del leader Ncd – «non si vede una ragione per fare modifiche» – dall’altro lato era arrivato un sostanziale “non lo escludiamo” dal vicesegretario democratico, Lorenzo Guerini: «Il tema non è un tabù – aveva spiegato – È sbagliato anticipare la discussione rispetto alla delega, nel Jobs Act non ci saranno chiusure pregiudiziali». Insomma, come dire, per il Pd si può azzerare il dibattito e considerare l’articolo 18 alla stregua di una qualsiasi altra tutela.

Ieri, però, si era aggiunta un’ulteriore voce, quella del responsabile Economia del Pd, Filippo Taddei, che in qualche modo – prima che parlasse il premier – ha voluto sgombrare il campo dal timore che i democratici possano abolire l’articolo 18: «Il ministro dell’Interno ha una prospettiva che, oltre a essere tecnicamente dannosa, non è quella del Pd. Ed è fuori tempo massimo – ha spiegato Taddei – Nella legge delega si parla di tutele crescenti. Chi parla di abolizione non sa di cosa parla».

E ancora, quasi a voler chiudere il dibattito: «Nell’articolo 4 della legge delega – ha aggiunto Taddei – c’è scritto che per semplificare e riordinare le modalità contrattuali esistenti, in via sperimentale si favorisce l’inserimento con tutele crescenti. Si può definire la modalità, ma in ogni caso c’è un tratto unificante: a un certo punto entra in vigore l’articolo 18, mentre nella proposta di Alfano non è così».

Dal sindacato per ora c’è unanimità a stoppare: lo ha fatto Raffaele Bonanni, leader Cisl. Lo ripete da giorni Maurizio Landini, segretario Fiom: «Anche perché – ha spiegato – tutte le modifiche finora apportate non hanno portato un solo posto di lavoro». Concetto fatto proprio anche dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso, in un tweet: «Bisogna creare lavoro non discriminazione! Basta con le vecchie e fallimentari ricette della destra. Cambia verso #sìart18».