«Compromesso non è una brutta parola. Ma in questo caso il compromesso non è la strada». Per confermare a voce altissima la scelta muscolare, Renzi non si accontenta di una sola intervista americana. Ne fa addirittura due, al Wall Street Journal e a Bloomberg. Intervista doppia, concetto unico. Ribadito a volontà: «La riforma del mercato del lavoro è una priorità e se i sindacati sono contro per me non è un problema». In realtà l’opposizione dei sindacati «per lui» è un vantaggio. Gli permette di far apparire come una vittoria ottenuta combattendo quella che in realtà è solo la conquista di un castello ormai deserto. Una scatola vuota sulla quale resta appena impresso un marchio sbiadito: «Articolo 18».

Prendere come oro colato gli impegni del presidente del consiglio è sempre sconsigliabile. In questo caso però parla sul serio. Non medierà. Non cercherà compromessi. Dalla sfida deve uscire non vincente ma trionfatore, nella speranza di ottenere così dall’Europa quel che l’Europa non ha per il momento alcuna intenzione di concedere. Nella riunione della direzione Pd, fissata per lunedì alle 17, non concederà nemmeno l’onore della armi alla minoranza. Al contrario, la sfiderà quanto più apertamente e forse brutalmente, certissimo di ottenere il «sì» della sua larghissima maggioranza. La previsione dell’85% a suo favore a fronte di un 15% contrario non è esagerata.

La vera sede per verificare la praticabilità dello spiraglio virtualmente ancora aperto per una soluzione unitaria non è la direzione ma l’incontro con l’assemblea dei senatori Pd, prevista per il giorno successivo in mattinata ma non ancora ufficialmente convocata. La minoranza ripete che la mediazione è ancora possibile, e non si capisce bene se si raccontino una barzelletta fingendo di crederci o ci sperino davvero. Anche dagli spalti del governo, per la verità, filtra la voce di un ammorbidimento del premier una volta incassata la vittoria per ko dei rivali in direzione. Se qualcuno ci crede e ci spera è irrimediabilmente ingenuo.

Lo scambio di battute a distanza di ieri tra i leader della minoranza Bersani e Cuperlo da un lato e il ministro del Lavoro Poletti dall’altro è eloquente. «Una soluzione di buon senso è possibile», s’illude il candidato sconfitto alle primarie, e già che ci si trova la indica pure: allungamento del periodo di prova, ma poi, superato il limbo, garanzia di reintegro. «Se il segretario del partito vuole trovare la sintesi farlo è agevole», aggiunge l’ex segretario, già meno ottimista. Poletti gela entrambi: «Non possiamo fare pasticci all’italiana». La conseguente previsione è ovvia: il governo medierà probabilmente, ma per finta. Senza concedere niente sul piano della sostanza e pochissimo su quello dell’apparenza. La merce di scambio saranno i fondi per gli ammortizzatori. In materia Renzi sarà di manica larga, soprattutto perché si tratta di cifre puramente virtuali.

I fondi non ci sono, come in privato ammettono senza perifrasi gli uomini del presidentissimo: «Dove troviamo i soldi per gli ammortizzatori? Boh!».

Il solo elemento di suspence è in realtà la reazione della minoranza all’ennesimo sganassone del rottamatore. Fino alla fiducia terranno duro, se non tutti molti. Questo almeno è quasi certo. Però quando scatterà il ricatto della fiducia, la retromarcia è quasi garantita. Lo ammettono gli stessi tutt’altro che indomabili ribelli. Non saranno loro a far cadere il governo. La fiducia, sia pure con il gusto del veleno in bocca, la voteranno, anche se qualcuno probabilmente terrà duro. Poca roba però. Salvo improbabili sorprese, un numero di dissidenti troppo esiguo per impensierire Renzi.

La partita non finirà lì. La sinistra tornerà all’attacco quando arriverà il momento di varare la legge di stabilità, come ha già anticipato Boccia. La partita, per Renzi, sarà in quell’occasione più difficile: la finanziaria è da sempre sede ideale per imboscate, accordi trasversali, sgambetti studiati per mettere in difficoltà ma senza portare le cose alle estreme conseguenze. Cioè senza rischiare quella crisi che la minoranza teme e che Renzi potrebbe invece addirittura auspicare.