Il progetto «Renzi» è andato in frantumi in modo altrettanto rapido del modo con cui ha preso forma. Se ne raccolgono i cocci.

A guardare il percorso politico di Matteo Renzi si resta impressionati dal numero delle azioni irresponsabili commesse.

Egli ha iniziato la sua carriera equiparando rottamazione e rinnovamento: la dichiarazione di intenti di un sfasciacarrozze, l’unico mestiere in cui ha mostrato una certa bravura.

Ha estromesso Letta, senza un’idea alternativa di governo, per tirare dritto al patto di ferro con il probo Verdini.

Dopo aver promesso i beni della terra ai giovani, li ha abbandonati nella precarietà e nello sfruttamento da parte di datori di lavoro spregiudicati.

Incapace di immaginare una politica di redistribuzione dei redditi e di occupazione vera, di pensare a qualche soluzione, anche approssimativa, dei problemi strutturali dell’economia, si è buttato in una riforma delle istituzioni confusa, contraddittoria, fatta con i piedi.

Novello De Gaulle, ha chiesto agli elettori un plebiscito sulla sua persona e dopo una sconfitta senza appello ha deciso di restare in sella (il «generale», personalità ben più robusta, perdendo si era ritirato a vita privata).

Ha sabotato la legge dello ius soli seguendo i propri calcoli tattici che non hanno mai oltrepassato la punta dei suoi piedi.

Ha lasciato la gestione della legge delle unioni civili al suo successore al governo Gentiloni, che è stato più concreto di lui, ma la gestione complessiva della crisi sociale (economica, politica è culturale), che non ha risolto nessuno dei suoi nodi, ha dato l’impressione di uno scambio tra diritti e precarietà della vita quotidiana.

Ha promosso una legge elettorale assurda congegnata per un’alleanza con Berlusconi.

Ha depurato il suo partito degli oppositori e ha confezionato le candidature in modo da mantenere il controllo su tutto anche dopo le elezioni.

Ha impedito che la crisi politica trovasse l’unico suo sbocco ragionevole nella collaborazione tra il Pd e il M5S, spingendo quest’ultimo (e l’elettorato di sinistra che l’aveva appoggiato) tra le braccia di Salvini.

Puntava sul logoramento dell’alleanza dei suoi nemici: un disegno folle di fronte al vento della reazione che fischia nel paese.

Molti di quanti oggi si preoccupano l’hanno compiaciuto.

La compiacenza infinita nei confronti di Renzi, da parte di tanti, che in diverse forme persiste, esprime l’investimento narcisistico della banalità del bene.

Il fregare il prossimo in nome del bene comune, la furbizia come modo di vivere che dispensa affetto interessato a chi la subisce, l’egoismo dei buoni sentimenti che amano chi asseconda la loro visione e ignorano chi la contraddice.

Una trappola narcisistica ha imprigionato il nostro destino: la volontà di conservazione di un modello di pensiero che si crede ragionevole perché evita accuratamente ogni forma di concezione controintuitiva dell’esperienza, la determinazione a produrre idee rassicuranti che ci convincano che il mondo stia andando comunque per il verso giusto, mentre tutto va in malora.

Archiviato, dalla spietatezza della storia, Renzi (il nuovo messianico, la consolazione che avanza nel futuro camminando all’indietro), continuiamo a fantasticare che i pensieri politicamente corretti (fatti per epoche tranquille, sonnecchianti) siano una lettura valida della realtà, basterebbe solo difenderli dai barbari che hanno attraversato i nostri confini.

Usciamo dalla ricerca compulsiva di campioni del bene furbo, per riscoprire un mondo non chiuso in precetti pigri, molto meno pericoloso dell’avanzare nella vita senza vedere e senza essere visti.