Dicono, ripetono, insistono che la sinistra sono loro. Nei tre giorni del “Lingotto ’17” è stato un sottofondo continuo, fino all’aperta rivendicazione di Debora Serracchiani, e dello stesso Matteo Renzi in chiusura di kermesse: “Noi siamo eredi, non reduci. Lo diciamo a chi immagina di potersi definire di sinistra perché sale sul palco, alza il pugno, e canta Bandiera rossa. La sinistra è qui, la sinistra siamo noi che risolviamo i problemi dei cittadini”. Ma se nelle parole della tre giorni torinese il vocabolo “sinistra” è stato ancora una volta inflazionato, quale dovrebbe essere la sua declinazione pratica nelle mozione congressuale del ticket Renzi-Martina?
Nelle pieghe della manifestazione, alcune ipotesi di principio sono già state raccolte dal ‘manifesto’ fra i partecipanti più giovani: “Quello che bisogna fare come Pd è occuparci dei vinti della globalizzazione; il capitalismo non è ostacolabile, va solo gestito tentando di creare nuove professionalità dove si perdono quelle di un tempo”. Anche nei dodici gruppi di lavoro, che si sono dati da fare per arricchire la mozione congressuale in via di stesura definitiva, si è dibattuto molto: dell’organizzazione del partito (circoli tematici da affiancare a quelli tradizionali); delle misure di contrasto alla povertà (molto apprezzato il reddito di dignità), della necessità di trovare un punto di equilibrio fra la legalità e le garanzie individuali.
Quando però le discussioni hanno affrontato i due macrotemi dell’economia e del lavoro, non si è andati oltre la difesa del jobs act e degli stessi voucher. Con quest’ultimi da rivedere e correggere secondo le linee guida della discussione parlamentare in corso, ma senza metterne in dubbio l’intrinseca validità. Insomma il dibattito, nella base del partito che sostiene il ticket Renzi-Martina, ha finito per ricalcare quanto veniva espresso di volta in volta sul palco dai dirigenti e dagli esponenti dem del governo Gentiloni.
Sui temi più prettamente economici c’è poi stata una vera e propria rimozione. Certo, già in partenza era stato fatto filtrare che, con il governo alla prese con il Documento di economia e finanza e con le partite aperte con la Commissione europea, le discussioni e gli approfondimenti al Lingotto sarebbero stati una indebita interferenza con il lavoro dell’esecutivo Gentiloni. Ma l’excusatio non ha comunque giustificato gli interventi non-interventi di Pier Carlo Padoan, e soprattutto del braccio economico ed organizzatore della kermesse Tommaso Nannicini. Lasciando a Renzi, al “Maradona del Pd” (copyright Graziano Delrio), l’ennesima apologia del marchionnismo: “Se si vuole difendere il lavoro si fa così, non si organizzano convegni”.
Per certo comunque la parola “redistribuzione”, che con la sinistra dovrebbe avere molto a che fare, non ha mai fatto capolino nei tre giorni del Lingotto ’17, dove pure si sprecavano i moniti contro le disuguaglianze. Davvero singolare poi il comportamento della platea nei confronti di Vincenzo De Luca: applausi a scena aperta quando il governatore campano batteva e ribatteva sul tasto della sicurezza (“La gente comune ha paura, ha pa-u-ra”); silenzio tombale quando ha sostenuto la necessità di un rinnovato intervento pubblico a sostegno del Mezzogiorno.
Se la sinistra è intervenuta dal palco del Lingotto, lo ha fatto domenica mattina con la voce di Cecile Kyenge, che replicando allo sceriffo De Luca ha detto a chiare lettere: “Matteo Salvini ha il sacrosanto diritto di parlare, ma noi abbiamo il sacrosanto diritto di chiamare le sue parole per quello che sono: istigazione all’odio. Salvini ha incitato alla pulizia di massa. Sono parole che hanno un preciso significato nella storia italiana e europea”.
Ma può bastare la sola Cecile Kyenge, o un’ Emma Bonino che pure al Lingotto è arrivata come ospite pur graditissima, e che ha detto parole chiare e non ipocrite su Europa e migrazioni, a dare un senso a quello stentoreo “la sinistra siamo noi” che è rimbombato per tre giorni interi negli spazi del Lingotto? Casomai è l’occupazione del centro dello schieramento, politico e sociale, a dare un senso al Pd “collegiale” con il suo bomber/bomba Matteo Renzi.