Semplifichiamo. Da che mondo è mondo, il mondo è dei ricchi. Oggi più che mai, grazie all’acquiescenza, se non la collaborazione, dei poveri. Da un po’ di tempo, le forze politiche che erano riuscite a persuadere i poveri a mobilitarsi, quelle che usavamo chiamare sinistra, si sono arruolate dalla parte dei ricchi. Usano qualche parola diversa per illudere ancora i poveri, ma nei fatti si comportano come i rappresentanti dei ricchi. Il tradimento è divenuto palese dacché si sono esauriti quegli esperimenti di dar vita a società che non distinguessero tra ricchi e poveri che chiamiamo comunismo. Che ha prodotto morti a milioni e suscitato disuguaglianze non meno vistose di quelle tra ricchi e poveri.

C’è pure stato un tempo in cui i ricchi resistevano a se stessi. Ritenendo che gli eccessi di ricchezza e povertà avrebbero reso la società inospitale anche per loro. Allora ai ricchi si opponevano anche gli addetti all’ordine sociale, ovvero lo Stato. Un po’ per allargare i propri spazi, un po’ perché convinti anch’essi che troppa povertà avrebbe reso impossibile il loro compito, i ceti legati allo Stato avevano contenuto i ricchi. L’alleanza, informale, tra ricchi, diciamo, paternalisti, addetti all’ordine sociale e portavoce dei poveri aveva consentito un equilibrio un po’ più egualitario e un po’ meno svantaggioso per i poveri. Lo Stato sociale si è rotto da un pezzo.

La partita i ricchi l’hanno vinta – provvisoriamente: tutto è provvisorio – arruolando i portavoce dei poveri. Li hanno arruolati accogliendoli, in posizione subordinata, nel loro mondo, e consentendo loro di accumulare privilegi e di adottare misure tali da metterli al riparo da ogni sconfessione da parte dei poveri. La competizione elettorale è oggi palesemente truccata. Possono vincerla solo i rappresentanti dei ricchi o i rappresentanti dei poveri accondiscendenti coi ricchi. La posta del conflitto accesosi al parlamento italiano sulla riforma elettorale è questa e non altra. La reclamizzano da più di trent’anni come un tributo necessario a stabilità e efficienza. L’obiettivo è soffocare ogni voce dissenziente.

L’arma fondamentale di cui i ricchi si sono avvalsi è la guerra dei poveri contro i poveri. I poveri della Cina, o della Romania, fanno guerra spietata ai poveri d’occidente. Ma pure i poveri di Germania fanno la guerra ai poveri d’Italia o Spagna. Se Italia e Spagna diventano più povere, s’illudono di diventare più ricchi. Le loro fabbriche avranno meno concorrenza. Non sanno che quando italiani e spagnoli saranno poveri abbastanza sarà conveniente delocalizzare le fabbriche tedesche in Italia o Spagna. E poi: chi comprerà i prodotti delle fabbriche tedesche? Gli stessi calcoli idioti hanno fatto gli italiani del nord a spese di quelli del sud. Il sud è affondato e il nord va alla deriva.

L’altra difesa dei ricchi è l’invisibilità. Non stanno più in mezzo a noi. Quelli di una volta stavano in fabbrica o nelle loro proprietà. I ricchi più ricchi sono le banche. Che veleggiano in rete. La ricchezza finanziaria è infinitamente meno visibile delle vecchie forme di ricchezza. E pure più ardua da contrastare.

Nella loro smania di strafare i ricchi stanno consumando anche quello strato di benestanti che faceva da cuscinetto tra loro e i poveri e che era anche un modo per aprire l’orizzonte di questi ultimi. È dai ceti medi che giunge adesso la minaccia più pressante all’ordine delle cose esistente. Non ha senso chiamarlo fascismo, perché non indossa la camicia nera né impugna il manganello. Ed in condizione di arrivare al potere – Italia docet – mediante pacifiche elezioni. Ove tuttavia vi arrivasse, sarebbero guai.

Molto democraticamente tali forze oscure praticherebbero intolleranza e imporrebbero conformismo. È possibile che il disorientamento renda i poveri strumentalizzabili da queste forze oscure. Per ora i poveri sono depressi e rassegnati. Ma non si sa mai.

Va da sé che l’alternativa è mobilitare nuovamente i poveri, indurli a sollevarsi. Renzi ha ben inteso il rischio. C’è qualcuno, ha detto, che vuole spaccare l’Italia e strumentalizzare la sofferenza del mondo del lavoro. Come se lui non stesse provando a aizzare precari e disoccupati contro quei pochi che hanno un posto fisso.

I poveri per lui devono invece stare zitti e buoni. Ben altrimenti Papa Francesco, dismesse le dispute teologiche del suo predecessore, ha scoperto che i poveri sono un mercato tanto ampio quanto abbandonato. Perciò investe da quelle parti. Dove dovrebbe investire anzitutto la politica. Salvo che l’investimento stavolta dovrebbe essere globale o quasi. Anche in ciò i ricchi sono stati bravissimi, creando un mercato politico globale. Che però non esclude le iniziative locali.

In Italia, purtroppo, lo spirito di divisione prevale. Un segmento minoritario di sinistra, per varie ragioni, non ha tradito. Ma, invece di mettersi assieme, preferisce litigare sulle volgari stupidità del Renzi, sull’irredimibile malvagità del capitale e magari su qualche posto in lista. Il problema non è neppure dar vita a un nuovo partito. Un partito che non sappia suscitare un’apprezzabile capacità di contrasto entro la società e fuori dalle istituzioni sarebbe un partitino. No, qui si riparte da zero, non dalle dispute astratte, ma da lotte sociali condotte su temi assai concreti: lavoro, ambiente, casa, scuola, sanità, pensioni. Questo, e non altro, si attendono i poveri, ormai in rapidissima crescita.