«Un miliardo e tre, un miliardo e quattro» sul piatto del referendum. Pagano i Riva. Arriva da Taranto e dall’accordo concluso con la famiglia proprietaria dell’acciaieria il bonus più pesante per il referendum. Da giocare a Taranto, «per il risamanento», nel sud che è più a rischio per il governo e per il Sì.
Prima delle dieci di sera gli italiani collegati in diretta streaming con il presidente del Consiglio hanno potuto vedere un facsimile della scheda elettorale per il senato. Malgrado il senato, secondo la riforma costituzionale, non sarà più eletto direttamente dai cittadini. I cittadini però potranno – è una possibilità – indicare le loro preferenze se sarà approvata – è un’altra possibilità – una legge bicamerale di attuazione della riforma costituzionale. È una legge che oggi non c’è. Non è stata neanche depositata (non poteva). Renzi però, alla ricerca degli ultimi Sì – «in tanti mi scrivono che voteranno No perché non si potrà più votare per i senatori» – la dà per fatta e presenta una scheda, troppo piccola perché si possa capirci qualcosa. E poi commenta. «Non ho mai visto una campagna elettorale con così tante bugie». Si riferisce agli avversari, e infatti vuole dedicarsi a smontare le «bufale del No.
Renzi aveva già fatto vedere molti mesi fa una scheda elettorale in anteprima, in questo caso per l’elezione del senato. La nuova scheda dell’Italicum, un altro facsimile esposto alle telecamere. Poi l’Italicum è stato approvato ma prima di sperimentarlo Renzi si è convinto di volerlo cambiare. Quella scheda è già dimenticata.

Ma il colpo a sorpresa della serata, annunciato già nel pomeriggio sui social, riguarda l’Ilva di Taranto. Renzi ha accusato il colpo dei 50 milioni promessi dal governo per la sanità tarantina – città in cui si registra un’impennata dei tumori tra i giovani e giovanissimi – e poi spariti dalla legge di bilancio. Dà la colpa al presidente della commissione bilancio Boccia (minoranza Pd) ma di fronte all’annuncio di una manifestazione dei genitori tarantini a Roma proprio sabato prossimo (il giorno prima del referendum) ha annunciato il suo «regalino».
«Vi prego, condividete tutti». La campagna elettorale in diretta da palazzo Chigi è ormai un appuntamento fisso e a cinque giorni dal referendum non è detto che sia l’ultimo. Renzi ieri è rimasto a Roma: un’eccezione. Domenica era a Torino, Monza e Bologna; domani sarà a Macerata e Ancona. Ieri ha fatto cinque interviste sul referendum: al Tg2, al Messaggero e a tre radio regionali (Campania, Lombardia e Toscana).
I sondaggi orientano le nuove mosse del presidente del Consiglio. Che chiama bufale gli argomenti del No che evidentemente stanno facendo più male. Non sono i migliori. Prende più tempo a rispondere a Di Maio che si lamenta dell’immunità riconosciuta ai senatori, o a Salvini che dice che l’Unione europea entra in Costituzione. Litiga anche, per esempio con uno che gli scrive «sembri quello che vende le pentole». «Pensa te come sei messo, chiedo a tutti e a ciascuno di condividere su twitter». Parla anche dell’articolo 70, quello che prevede il nuovo procedimento legislativo: «Non è lungo, non è complicato. Ragazzi, stiamo parlando della Costituzione non di Topolino». L’articolo però è difficile da leggere perché difficili e molteplici sono i procedimenti legislativi previsti, e soprattutto non c’è una norma di chiusura che stabilisca come si procede se i due presidenti di camera e senato non sono d’accordo sull’iter di una legge. Si andrà alla Corte costituzionale, evidentemente. Ma Renzi, per smontare le bufale, arriva a sostenere che «il nuovo articolo 70 evita i conflitti di competenza».