La data delle elezioni interessasa solo agli addetti ai lavori. Votare a settembre o a marzo, cosa cambia per i cittadini? Nulla». Per la sua ultima intervista, la prima della nuova campagna elettorale, Matteo Renzi sceglie il Sole 24 Ore, al quale regala intanto questa perla: la (sua) certezza che la data del voto sia un dettaglio «tecnico» che non interessi agli elettori, che la democrazia sia una roba da professionisti della politica, polemisti dei giornali, azzeccagarbugli. Anche a lui quella data importerebbe poco. Anzi se si voterà nel 2018 «possiamo finalmente far partire la commissione d’inchiesta sulle banche, così vedremo una volta per tutte le reali responsabilità nel mondo del credito italiano». Una bugia, soprattutto un avviso malizioso da parte di chi sta facendo di tutto per andare al voto a settembre, mission impossible che pretenderebbe lo scioglimento delle camere a metà luglio. Se non sarà così, è la traduzione in prosa, il Pd pretenderà il varo della famosa commissione che preoccupa il governatore uscente di Bankitalia Ignazio Visco. E che il presidente della Repubblica Mattarella sconsiglia vivamente, temendone le imprevedibili ripercussioni. Sarà Mattarella a decidere l’eventuale scioglimento delle camere. Ed è lui ildestinatario del messaggio.

L’avviso in realtà è una finta. Il freno alla commissione è un affare anche interno al Pd, come spiega Arturo Scotto di Art.1: «Il Pd ha impedito per due anni di farla, rinviandola sistematicamente. Una tecnica dilatoria studiata a tavolino per non disturbare il manovratore. Sono contento che abbia cambiato idea. Si proceda senza più indugi». Non accadrà, ovviamente.

Per il resto Renzi inizia la sua ennesima campagna – una campagna infinita, iniziata con quella delle primarie Pd del 2013 – con le rassicurazioni al mondo imprenditoriale e confindustriale, ostile alle incognite di un cambio di governo. Al mondo produttivo del Nord est («a cui il paese deve molto», dice), promette il salvataggio delle banche venete: «Vorrei che le istituzioni si unissero per salvaguardare le due banche senza riguardo al colore politico ma giocando tutti la maglia tricolore» contro gli eventuali diktat della Ue. Quanto al rapporto con il governo Gentiloni, dopo le rassicurazioni di rito, Renzi ammette che c’è il nodo della finanziaria che verrà: «Una legge di bilancio che sia in linea con quelle degli ultimi tre anni». Insomma «gli italiani devono sapere che nessuno aumenterà le tasse, nessuno farà scattare le clausole di salvaguardia, nessuno si permetterà di bloccare il progetto di questi anni».

È il segno che Renzi si appresta, almeno nelle sue ambizioni, a intestarsi la finanziaria. E le parole del pragmatico ministro Piercarlo Padoan al Festival dell’Economia di Trento suonano come un’indiretta conferma: «Sento che il compito del ministro, data questa condizione politica, è lasciare un Paese con i conti pubblici in sicurezza. Chiunque farà la legge di bilancio avrà spazi di flessibilità importanti». Dove quel «chiunque» ha già il sapore di una consegna del testimone. «La legge di bilancio non va sprecata», dice Renzi. «L’ultima cosa che un ministro delle Finanze vuole fare è sprecare la manovra. In Italia la situazione difficile è legata all’incertezza politica: penso che tutti facciano fatica a capire quale sia il prossimo quadro di governabilità e il prossimo Parlament.», replica a distanza Padoan, la cui pazienza con il suo ex premier è arrivata a scadenza prima di quella del governo.

La road map del voto – approvazione della legge elettorale entro metà luglio e dimissioni del premier Gentiloni, poi la scelta del Colle – dovrà vedersela con la guerriglia di Angelino Alfano e dei «morituri» di Ap, per quel che potranno fare, stretti nella morsa di sabotare i piani di Renzi senza autosabotare la tenuta del governo.

Renzi se ne infischia, la sua campagna elettorale è già in moto, dopo le magliette gialle nelle città martedì ci saranno le fiaccolate contro Trump e la sua scelta di uscire dagli accordi di Parigi. Ad Alfano riserva qualche frase di sfottò per l’inarrivabile soglia del 5 per cento: «Comprendo la rabbia politica», non «la reazione scomposta e gli insulti personali». Il ministro ribatte scagliandosi contro l’intervista: «Un fiume di parole per nascondere un solo con concetto: Paolo stai sereno». Per fremare il voto tutto Ap è un coro di appelli al Colle, mentre però la commissione di Montecitorio approva a spron battuto la legge elettorale. La ministra Lorenzin: «Mattarella, persona saggia, saprà intervenire al momento giusto per evitare conseguenze serie al Paese causate da una corsa contro il tempo inspiegabile». Fischi dalla Lega e pesanti allusioni al poltronismo.