All’indomani della soluzione trovata dall’Europa per scongiurare la Brexit, il governo italiano torna a insistere sulla flessibilità. Ieri con una doppia voce: il premier Matteo Renzi, parlando alla stampa estera, ha spiegato che in vista del referendum che si terrà il 23 giugno in Gran Bretagna lui appoggia il «sì» richiesto da David Cameron, ha invitato Alexis Tsipras a «entrare nel Pse», e ha parlato ancora una volta contro l’austerity. Nel frattempo, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan rendeva pubblico il position paper dell’esecutivo sulla politica Ue.

Tracciando il bilancio dei suoi due anni di governo, Renzi ha spiegato che l’Italia, pur richiedendo la flessibilità, fa però sempre e puntualmente i compiti per casa, e che quindi ha tutte le carte in regola per avanzare richieste a Bruxelles: «È evidente – ha detto il premier – che abbiamo un Pil più basso di altri Paesi, perché stiamo facendo tagli da cura da cavallo e la spesa pubblica fa Pil». Ma, ha aggiunto, «credo che anche se scende più piano di quanto prevede il fiscal compact, è un fatto positivo. L’importante è che scenda. L’Italia ha fatto spending per 25 miliardi. Cottarelli ne aveva chiesti 20».

Ce n’è anche per l’ex presidente del consiglio Mario Monti, con cui in questi ultimi giorni la polemica è stata quasi quotidiana: «Il deficit era al 3,7 con Monti e oggi è al 2,5 – ha spiegato Renzi – Ma rifiuto di accettare l’austerità come fine a se stessa perché uccide il paziente. Però sto dentro le regole europee. Non ho mai violato le regole europee e ho chiesto alla Commissione di stare dentro un percorso di flessibilità, ma sto dentro le politiche europee». «Il deficit è il più basso degli ultimi 10 anni – ha concluso – Se avessi fatto il 3%, avrei 10 miliardi di tasse da abbassare».

Il testo con cui il governo si presenta ai prossimi appuntamenti europei traduce questi principi in proposte. «In presenza del protrarsi di una crescita modesta e di una bassa inflazione – dice il position paper redatto da Padoan – le misure straordinarie messe in campo dalla Bce si stanno dimostrando insufficienti». «I margini di bilancio dovrebbero essere integralmente usati per sostenere la crescita». Ecco quindi, nero su bianco, la nuova richiesta dell’esecutivo a Bruxelles.

Essendo la ripresa «lenta e fragile», quella degli «investimenti è la priorità assoluta per sostenere la crescita». Nel testo italiano si fa riferimento al Piano Juncker, di cui si chiede piena applicazione (ma i 300 miliardi annunciati qualche tempo fa per il momento in pochi li hanno visti, ndr), ma ancora una volta suggerisce che, ove siano disponibili, «i Paesi dovrebbero usare integralmente i margini di bilancio per espandere gli investimenti». D’altronde, aveva chiesto investimenti pubblici (accoppiati a un calo delle tasse), anche un “keynesiano” Mario Draghi, qualche settimana fa: se si dovesse applicare la ricetta Bce, l’unico modo per investire risorse pubbliche in Italia sarebbe quello di agire sul deficit.

Ancora, bisogna «completare l’unione bancaria per preservare la fiducia nel settore bancario». Il governo italiano chiede l’istituzione dell’Edis, il Sistema di assicurazione europea sui depositi.

Un’altra emergenza è il lavoro: non basta creare occasioni di impiego, servirebbe anche un «Fondo per stabilizzare il mercato del lavoro e per assicurare contro la disoccupazione». Una sorta di “super ammortizzatore sociale” Ue che riequilibrerebbe il mercato continentale, finora sempre diviso sia sul fronte dei salari che dei tassi di occupazione/disoccupazione.

Ancora, si propone che l’Esm, il fondo salvastati, si trasformi in Fondo monetario europeo (Emf), in modo da rendere l’euro ancora più stabile. Nello stesso tempo, per rafforzare anche sul piano politico l’Unione, si propone di istituire un Ministro delle Finanze dell’Eurozona, dotato di un suo budget: farebbe parte della Commissione, ma dovrebbe avere anche un «forte legame con il Parlamento Ue».

Ultima proposta: emettere eurobond per finanziare la gestione dei confini europei. L’Italia si vede pressata dalle migrazioni, e per questo torna a chiedere il sostegno della Ue. «Noi ogni anno mettiamo 20 miliardi e ne riprendiamo 12 in fondi europei – spiegava infatti ieri Renzi alla stampa estera -Ho detto al tavolo Ue molto chiaramente che al momento di discutere della programmazione dei fondi non possiamo non tenere conto che qualcuno non è solidale sull’immigrazione. A quel punto è legittimo che i paesi più grandi possano non essere solidali sui fondi».