Nessun passo indietro. Matteo Renzi non arretra di un centimetro. Il Quirinale neppure. Sergio Mattarella è ancora convinto che la conferma di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia sia la cosa migliore per gli interessi del Paese.

Ma ormai alle prese con la patata bollente è Paolo Gentiloni: Renzi giura che col premier non c’è alcuna tensione, ma a credergli sono in pochissimi. Ed è Visco, che ieri sera si è presentato di fronte al presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche Pier Ferdinando Casini con la voluminosa documentazione già richiesta dalla commissione. Serve a dimostrare che Bankitalia ha esercitato le proprie funzioni di controllo nel migliore dei modi, che il governo, allora presieduto dal leader del Pd che oggi vuole cacciare il governatore, era in perfetta sintonia e che in ogni caso la Banca centrale ha limitato per quanto possibile danni che la crisi rendeva comunque inevitabili.

LA SCELTA DI VISCO è l’antipasto della futura audizione di fronte alla Commissione, che arriverà subito dopo quella del capo della vigilanza del Mef Barbagallo, prevista per la prossima settimana. Un’accelerazione preceduta in mattinata dall’arrivo a sorpresa del governatore a un convegno in ricordo dell’economista Federico Caffè al quale partecipava anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni. Si sono limitati a una lunga e simbolica stretta di mano. Ma che il problema esista non se lo nasconde nessuno. Per Visco andare avanti con sulle spalle la sfiducia del partito di maggioranza relativa non è facile. Per il governo proporne la riconferma dopo aver dato parere positivo alla mozione che lo sfiduciava è altrettanto arduo.

MA ALLA FINE PALAZZO CHIGI e il Mef sceglieranno quasi certamente quella riconferma che il Quirinale auspica, che vuole anche il presidente della Bce Mario Draghi, al quale pare che il blitz del Pd sia spiaciuto quanto a Mattarella, e che potrebbe anzi essere anticipata per chiudere l’imbarazzante faccenda il prima possibile. La sola vera incognita è l’eventualità, possibile ma non probabile, che a farsi indietro sia proprio Visco. La decisione di presentarsi subito di fronte al presidente della commissione e ai suoi vice, il forzista Renato Brunetta e il dem Mauro Maria Marino, segnala secondo i più che il governatore intende resistere, ma per alcuni significherebbe invece il contrario. Una sola cosa è certa: se decidesse di mollare,Visco non lo farebbe in silenzio. Sparerebbe a zero.

QUANTI SPERAVANO che ad alleviare la tensione fosse Renzi, con un ripensamento diplomatico, è rimasto ieri amaramente deluso. Il coro di critiche che lo ha sommerso ieri non scalfisce la convinzione dell’ex premier di essersi mosso nel modo migliore. Quello che lo bersaglia è un fuoco amico che coinvolge il presidente dei senatori Zanda («Mozioni così meno se ne fanno e meglio è»), il presidente emerito Napolitano («Deplorevole») e persino il santo protettore Veltroni («Incomprensibile e ingiustificato»).
Gli attacchi erano già stati messi nel conto al momento di preparare in gran segreto l’affondo, senza avvertire nessuno se non i fidatissimi, neppure Gentiloni né il principale alleato nel Pd, Dario Franceschini. L’unico colpo imprevisto è stato quello vibrato da Veltroni, ma neppure quello ha smosso il segretario sul sentiero di guerra.
«Dire che il Pd è contro Visco è sbagliato», giura l’ex premier. E’ l’unica concessione che fa alla diplomazia. Il prosieguo è infatti deflagrante: «Definire la mozione del Pd eversiva è surreale. Nel settore bancario è successo qualcosa di enorme. Ancora molte cose non si sono capite e tra queste perché non abbia funzionato la vigilanza. Vogliamo aprire una pagina nuova: chi ha sbagliato paghi e se ci sono cose da cambiare si cambino».

IN PRIVATO IL SEGRETARIO è più esplicito. Spiega ai suoi ufficiali che affrontare la campagna elettorale con la croce di Banca Etruria sulle spalle e la nomea di difensore dell’operato della Banca centrale sarebbe suicida: «C’era una mozione dei Cinque stelle. Cosa dovevamo fare? Permettere titoli come ’Il Pd blinda Visco’?».
E’ la campagna elettorale, e il leader del Pd ha deciso di combatterla sul terreno scelto dal Movimento di Grillo e dalla Lega, lasciando a Forza Italia l’inedito ruolo di partito “istituzionale”. La lacerazione con il Quirinale è certo spiacevole. Ma, come spiega uno dei fedelissimi del capo, «la sola via per rientrare a palazzo Chigi è conquistare una marea di voti, altrimenti Mattarella non darà comunque l’incarico a Renzi». La musica di Grillo è quella che Renzi spera possa portargli quella «marea di voti».