«Signora, attenti ai gradini, non si vedono». C’è un vigile del fuoco per ognuno dei potenziali sgambetti all’ingresso del nuovo centro congressi di Roma, perché l’architettura contemporanea quando è bella può essere pericolosa. E’ buio, Matteo Renzi arriva in ritardo come gli capita spesso in questi giorni di girandola elettorale, stavolta viene da Savona. «Vi chiedo scusa, stiamo lavorando per i territori colpiti dall’alluvione»; veniva in realtà da due comizi per il Sì.

All’ennesima replica lo spettacolo è rodatissimo. Lui solo sul palco in camicia e cravatta, stavolta giallorossa ma «sarebbe squallido utilizzare il calcio per la campagna elettorale»; qualcuno però gli grida Forza Roma. Un’ora esatta che il presidente del Consiglio controlla sull’orologio da polso, le slide scorrono (quasi) perfettamente sincronizzate, ma la maggior parte del tempo sul maxi schermo c’è la scheda elettorale. «La domanda è semplice, volete far ripartire il paese o tenerlo bloccato?». Il proiettore però è un po’ improvvisato, piazzato su un trespolo di tubi, stona con la sala nuovissima e assai bella tutta in legno di ciliegio. L’apertura è stata un po’ anticipata per regalare l’inaugurazione vera della Nuvola di Fuksas al presidente del Consiglio e alla campagna per il Sì.

Per rimediare un po’ alle polemiche che ne hanno segnato la costruzione – 18 anni dal concorso, 9 di lavori effettivi, 260 milioni di soldi pubblici che potrebbero quasi raddoppiare per un contenzioso – Eur spa che è proprietaria del centro congressi aveva deciso di aprire al pubblico gratuitamente la Nuvola, quattro giorni dall’8 dicembre. Renzi e il Pd ne avevano bisogno prima del referendum. Così il grande evento che cercava Eur spa (per la Nuvola è quasi fallita e ha dovuto vendere all’Inail palazzi storici e musei) è stato anticipato: non bisognerà aspettare un congresso degli avvocati nel 2018 o dei chirurghi della spalla e del gomito nel 2021, al momento gli unici in calendario. E i romani hanno risposto con curiosità, riempiendo la Nuvola in circa duemila, anche se quelli che non hanno trovato posto nella sala principale dopo essersi guardati un po’ attorno se ne sono andati, senza fermarsi alla diretta video al piano inferiore.

Il comizio è tarato sull’ultima settimana di campagna, quella in cui «può cambiare il paese», e oggi Renzi lo ripeterà in altri tre teatri: Torino (c’è l’alluvione anche lì), Monza e Bologna. Chiede al pubblico quali sono le principali obiezioni alla riforma dei sostenitori del No. Che i senatori non sono eletti, rispondono i primi. «Falso», dice Renzi, che però nella nuova Costituzione ha scritto che solo la camera è elettiva. Promette una legge che interpreterà la riforma in modo che i cittadini possano indicare quali consiglieri regionali mandare al senato. Dopo il referendum, «ma l’abbiamo già presentata» – in realtà l’hanno presentata i bersaniani dieci mesi fa e fin qui nessun renziano l’ha firmata. «Altri argomenti del No»? chiede Renzi, evidentemente intenzionato a fornire materia alla sua campagna. L’articolo 70, il nuovo procedimento legislativo appare complicatissimo, dicono. «Abbiamo fatto un calcolo sulla base delle leggi approvate in questa legislatura», dice lui. «Con la nuova costituzione il senato sarebbe intervenuto solo nel tre percento dei casi». Un calcolo strano: anche dopo la riforma il senato potrà intervenire nel cento per cento delle leggi. Ma le sue decisioni conteranno poco perché potranno essere superate da un nuovo voto della camera.

C’è ancora un’altra domanda del pubblico, Renzi in the cloud ha argomenti per tutti e ogni volta sembra convincente. La deriva autoritaria, gli gridano. A parte gli aspetti di vero cabaret – l’imitazione di Berlusconi, lo sberleffo a Di Maio che confonde il Cile con il Venezuela (dal vivo si arricchisce di una foto di Renzi in commosso omaggio al mausoleo delle vittime di Pinochet a Santiago) – la risposta è anche questa una piroetta: «Prendete l’elezione del presidente della Repubblica, prima all’ultima votazione bastava il 50 per cento più uno dei grandi elettori, adesso siamo saliti al 60, c’è una garanzia in più». E sembra che a nessuno dei plaudenti venga in mente che prima i grandi elettori erano mille e adesso 730. Tutti eletti con una legge ultra maggioritaria: la scelta del presidente è in mano a un solo partito.