«Governo fotocopia» fu subito battezzato l’esecutivo Gentiloni, fotocopia di quello Renzi. Guardando alle donne e agli uomini che lo compongono è senz’altro vero, ma se nel momento più difficile per il Pd volessimo guardare alle sensibilità politiche dei ministri iscritti al partito democratico, troveremmo ancora un’adesione totale alla linea del segretario? Le donne e gli uomini, si sa, anche restando se stessi nelle fotografie incorniciate nelle stanze dei ministeri, a volte cambiano.

Ieri la ministra Anna Finocchiaro ha rotto un tabù, prendendo pubblica posizione a sostegno dello sfidante più accreditato di Renzi, Andrea Orlando. Chiamata al ministero per i rapporti con il parlamento per seguire il dossier più importante di questo scorcio di legislatura, la legge elettorale, Finocchiaro si era conquistata la stima di Renzi garantendo il passaggio al senato dell’Italicum e della riforma costituzionale. È stata l’alleata principale della ministra Boschi durante i «mille giorni» di Matteo, prima di sostituirla due mesi fa. Da trent’anni in parlamento, Finocchiaro è stata a lungo vicinissima politicamente a Massimo D’Alema; ieri ha comunicato di aver scelto Orlando: «Il Pd non può esistere senza la sinistra, le suggestioni e il percorso indicato da Andrea Orlando mi sembra possano essere un punto di partenza importante per la nostra discussione».
Prima di lei nel governo Gentiloni solo Carlo Calenda aveva fatto notare il suo dissenso dalle posizioni di Renzi, schierandosi apertamente per la prosecuzione della legislatura fino a scadenza naturale. Ma Calenda non è un iscritto al Pd, sebbene sia stato valorizzato molto da Renzi. Come non è iscritto al Pd il tecnico per eccellenza Pier Carlo Padoan, che infatti ha avuto bisogno di un invito speciale del segretario per assistere lunedì scorso ai lavori della direzione del partito. Restando peraltro in silenzio a registrare gli avvertimenti di Renzi sulla manovrina e i rapporti con l’Europa. In questo momento i rapporti del ministro per l’economia con il leader del Nazareno, già parecchio difficili durante il periodo di Renzi a palazzo Chigi, sono pessimi.

All’ombra del prudente Gentiloni non sono più tantissimi i ministri pronti a gettarsi nel fuoco per Renzi: Boschi e Lotti certamente. Madia, De Vincenti e Poletti con qualche cautela in più. Il ministro dell’agricoltura Martina guida una corrente il cui senso sta tutto nel sostegno alla rottamazione, con l’intenzione di farlo da «sinistra» Poi ci sono i renziani di occasione, le figure che coltivano un profilo più autonomo come Delrio e ultimamente Minniti (l’ex dalemiano è l’unico al governo di cui pare Bersani parli bene), e Franceschini e i franceschiniani (Pinotti e Fedeli) che si muovono consapevolmente come l’ago della bilancia. E infine al governo c’è direttamente Orlando, riluttante eppure sfidante.